Cesare Bocci porta al Rasi una vicenda personale per raccontare come si vincono insieme le difficoltà
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Elena Nencini
Una super tournée con 110 repliche e tante richieste di portare di nuovo Pesce d’aprile sul palco anche in città dove era già stato, oltre al tutto esaurito in molti teatri: sono queste le soddisfazioni di Cesare Bocci, l’attore marchigiano, famoso al pubblico italiano per il suo ruolo di Mimì Augello in televisione come vice di Montalbano. Lo spettacolo nasce dal libro omonimo che Bocci ha scritto insieme alla moglie Daniela Spada pubblicato da Sperling & Kupfer, che ha venduto più di 10mila copie in meno di un anno. La storia narrata è quella vera accaduta alla coppia: un ictus improvviso dopo il parto colpisce Daniela il 1° aprile 2000, la lascia in coma per 20 giorni e al suo risveglio il medico dice che non camminerà più. Ma non è stato così.
A Ravenna Pesce d’aprile - interpretato da Bocci insieme a Tiziana Foschi - arriva al teatro Rasi il 7 febbraio alle ore 21. Il ricavato verrà devoluto alle associazioni di volontariato A.L.I.Ce Odv per la lotta all’ictus cerebrale, l’associazione Alzheimer Ravenna e l’associazione Ravenna Parkinson.
E’ proprio Bocci a raccontarci questo spettacolo che fa ridere e piangere.
La vita ha giocato a lei e sua moglie un bel pesce d’aprile, perché avete deciso di condividere una storia così personale con il pubblico?
«È una scelta che nasce 5 anni fa quando l’Anfaas (Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale) ci ha sollecitato, visto che sono un personaggio pubblico, per condividere il messaggio che è stata la forza che ci ha portato avanti quando Daniela stava male. E’ fondamentale chiedere aiuto alle persone senza vergognarsi, rialzarsi perché la vita ti riserva delle cose belle non solo l’handicap che ti porti dietro. Abbiamo pensato che se riuscivamo a condividere con qualcuno quello che avevamo vissuto avevamo già vinto. Nella malattia le persone si sentono sole, ma non è così, bisogna guardarsi intorno e ci si accorge che non si è soli. Basta chiedere aiuto».
Il suo ruolo all’interno della coppia è cambiato dopo questa vicenda?
«No, devo dire, di no perché Daniela era indipendente prima ed è tornata ad esserlo dopo una lunga battaglia per riconquistarsi una nuova vita. Con tutti i limiti che una disabilità comporta. Certo, continua a fare i conti tutti i giorni con le sue difficoltà. In una famiglia i conti si fanno insieme, si fa squadra e si cambiano i modi, si gioca in un campionato diverso. Sta a te scegliere se vuoi giocare ad alto livello o fra i dilettanti».
Dopo aver passato un periodo così nero c’è qualcosa che le fa paura?
«Si, sicuramente. Le nostre debolezze sono le stesse. Ti alzi la mattina e pensi che fai schifo, che il lavoro non ti piace, che hai momenti di ansia. I momenti grigi ci sono sempre, ci vuole auto-compassione e qualche coccola in più. Questo non cambia, ma mi accorgo che dopo quello che ci è successo sono molto più rilassato sul lavoro rispetto a prima. Allora penso “Io mi sto a preoccupare di andare davanti a una macchina da presa dopo quello che è successo??? Ma dai ‘Pedalare’”. Ti dà più fiducia in te stesso. Questo è il senso dello spettacolo e del libro. Nel libro si rideva e ci si emozionava allo stesso tempo: l’ho regalato a Luca Zingaretti, che doveva fare un lungo viaggio dalla Sicilia, dove giravamo, a Roma. Mi chiamò dall’aeroporto dicendomi “sto a ride e a piagne insieme’!”. Ci si deve disperare ma si deve anche ridere».
Uno dei personaggi che l’ha portata alla ribalta del grande pubblico, Mimi Augello, ha un rapporto con l’amore molto scanzonato. Ha avuto difficoltà nel portarlo sul piccolo schermo?
«Mimi Augello è molto serio, crede tanto nell’amore, ma non in uno solo. Questa è l’unica cosa differente. Del resto come fai ad avere problemi con una struttura narrativa e dei testi come quelli di Camilleri? Queste sono le cose molto facili, poi ci vogliono il regista, i colleghi, Ma quando parti da una base così è tutto semplice».
Sua moglie Daniela anche se non recita sul palco è presente?
«E’ sempre presente. Lei stessa quando ha visto lo spettacolo è rimasta impressionata, ci si è ritrovata nel personaggio creato da Tiziana. A Tiziana ho vietato di ispirarsi nei movimenti o nella fisicità a mia moglie ma è riuscita a restituire le difficoltà che può avere una donna in queste circostanze, il dolore, l’ironia di una donna che ha dovuto combattere duramente».
Come sta andando la tournée?
«Ci stanno richiamando in tante città, dove siamo già stati: a Torino, a Bologna. Non è uno spettacolo che viene apprezzato immediatamente, è uno spettacolo sul coraggio, non sulla disabilità. È una storia di amore, di rinascita, è una drammaturgia moderna molto ben fatta, ben scritta. Il passaparola è fondamentale: a fine febbraio chiuderemo con 110 repliche, ma siamo già pronti per il prossimo anno con altre 60-70».
Un episodio che l’ha colpita?
«Alla fine di uno spettacolo spesso ci aspettano per chiedere gli autografi o farci un saluto, c’era una fila lunghissima di persone e alla fine restano due ragazze sui trent’anni, silenziose: “Volevamo dirvi grazie, a voi e alla cassiera. Eravamo un po’ depresse stasera e volevamo svagarci, abbiamo deciso quindi di venire a vedere Pesce d’aprile. Sarà da ridere abbiamo pensato. La cassiera ci ha dato due posti in mezzo alla fila: dopo tre minuti volevamo scappare ma non potevamo alzarci, per fortuna siamo rimaste fino al quarto minuto e alla fine è la cosa più bella che abbiamo mai visto».