AMARCORD ZACCAGNINI | La figlia Livia: "Ricordiamo il suo essere uomo, prima che politico"

Ravenna | 01 Novembre 2019 Cronaca
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Federica Ferruzzi - Livia Zaccagnini, figlia di Benigno, è stata assessora del Comune di Ravenna, presidente dell’istituzione Biblioteca Classense e, attualmente, è nel consiglio di amministrazione della Fondazione Ravenna Manifestazioni. A lei abbiamo chiesto di riconsegnarci la figura di Zaccagnini come padre, ripercorrendo aspetti privati della personalità del noto statista.
Livia, qual è il ricordo che custodisce di suo padre?
«Un ricordo assolutamente affettuoso, dolce e importante: sono passati 30 anni dalla sua scomparsa, mi sto rendendo conto che sono tanti e che la perdita di nostra madre due mesi fa abbia rafforzato il legame che abbiamo col babbo».
Com’era Benigno a casa, tra le mura domestiche?
«Non voglio consegnare la figura di un santo, sarebbe poco verosimile, ma posso dire che a casa era felice. Il desiderio di tornare a Ravenna e dalla sua famiglia era sempre vivissimo: il venerdì si aspettava che il babbo tornasse e il lunedì che ripartisse, perchè durante la settimana stava a Roma a fare il suo lavoro, come diceva lui. Quando c’era era molto presente e non delegava nulla a nostra madre; voleva conoscere i nostri problemi e non lasciava che i suoi interferissero, li lasciava fuori».  
A lui viene spesso attribuita la frase “S’lè not, us farà dè” (Se è notte, si farà giorno). La diceva anche a voi?
«In questi termini no, anche se apprezzava le battute in dialetto e con l’amico Giordano Mazzavillani (il padre di Cristina, ndr) erano molto frequenti. Con noi bambini, però, parlava in italiano, e anche se non utilizzava questa frase ce ne ha sempre trasmesso l’energia positiva che veniva dalla fede e dal legame straordinario che aveva con la mia mamma. Questo è accaduto anche in momenti drammatici come ad esempio la perdita di due dei miei fratelli».
Vi raccontava degli anni della Resistenza?
«Assolutamente sì, ma devo dire che anche su questo si rivelava, l’ho capito dopo, non autoreferenziale. Ci trasmetteva l’importanza della scelta di resistenza e mi viene ancora in mente il modo in cui pronunciava questa parola. Non ci raccontava dell’esperienza in qualità di grande combattente, ma ci sottolineava l’importanza di prendere posizione anche in un momento difficile. Ci diceva sempre che nella vita era importante partecipare alla vita civica con scelte che difendessero i propri principi. Per lui era un grande orgoglio essere stato dalla parte della resistenza e avervi partecipato».
Qual è stato, secondo lei, il suo momento politico più difficile?
«Indubbiamente il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, un dramma personale oltre che politico. Sul piano politico intervengono tutti, ma su quello personale è stato talmente difficile e pesante che credo si sia portato dietro la fragilità fisica successiva a quel momento terribile. Il loro era un legame fortissimo, per lui aveva un grande rispetto e stima e diceva che era una testa straordinaria anche dal punto di vista intellettuale».
Qual era il rapporto con Ravenna e con i ravennati?
«Era un rapporto fortissimo: per tutta la vita non si è mai posto il problema di andare a Roma con la famiglia, ci andava per lavoro ma poi doveva tornare a casa e per casa intendo anche Ravenna. Il legame era sia con noi che con la sua città, con le persone, con i romagnoli. Amava tanto il mare, la pineta, le persone che vivevano qua, non solo i suoi amici. Gli piaceva stare in giro per le strade e sentire parlare la gente, per la quale aveva un amore profondo ed un legame fortissimo».
Qual è l’insegnamento che lascia a trent’anni dalla morte?
«Un insegnamento importante che va ritrovato in questo momento complicato per la politica italiana: non esistono più i partiti tradizionali che abbiamo in mente e non c’è più quella partecipazione che c’era una volta. La sua eredità, che va riscoperta, sono i valori fondanti del suo essere uomo, oltre che politico, e del suo essere cattolico e cristiano legato a principi basilari quali l’onestà, il rispetto e la generosità».
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