Monica Guerritore racconta Brecht, Strehler e il mondo in cui viviamo, senza arrendersi mai

Faenza | 15 Novembre 2019 Appuntamenti
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Elena Nencini
Ritorna a Faenza, dopo Giovanna d’Arco e Oriana Fallaci, Monica Guerritore con un altro grande personaggio femminile, la prostituta Shen Te de L’anima buona di Sezuan di Bertolt Brecht, al Teatro Masini (venerdì 15, sabato 16 e domenica 17 novembre, ore 21). Anzi in realtà Guerritore veste più di una casacca ricoprendo sia il ruolo della prostituta Shen Te, che quello del cugino Shui-Ta, oltre ad occuparsi della regia.
La traduzione del testo è affidata a Roberto Menin, mentre la regia è ispirata a quella che firmò Giorgio Strehler nella sua versione del 1981.  Il testo di Brecht racconta del bene e del male: nella capitale della provincia cinese del Sezuan giungono tre dèi alla ricerca di qualche anima buona e ne trovano solo una, la prostituta Shen Te, che li ospita per la notte. Il compenso per tale atto di bontà è una somma importante. Ma è accompagnato dal comandamento di continuare a praticare la bontà. Ma non sarà così facile…
L’attrice romana, che ha lavorato con registi del calibro di Strehler e di Gabriele Lavia, ha insistito spesso sull’importanza di un teatro civile e politico come ci spiega in questa intervista.
Guerritore, lei cura la regia che si ispira a quella di Strehler con cui ha lavorato all’inizio della sua carriera. Che insegnamento le ha lasciato?
«E’ un nuovo allestimento ispirato alla famosissima edizione del 1981 di Strehler con Andrea Jonasson che durava 4 ore, ne ho fatto una nuova versione. Con lui ho debuttato a 15 anni, mi ha formato, ha formato il mio modo di avere una visionarietà libera, il modo di vedere il teatro, le impostazione della luce, la potenza evocativa della figure al di là della battute. Qui celebro il racconto di un uomo che diventa racconto dell’umanità. Quando ho lavorato con Strehler seguivo tutte le prove, ero affamata di imparare, è stata un’esperienza intensa. Quando vidi per la prima volta “L’anima buona di Sezuan” avevo già ventidue anni e lì ho capito la reale portata dell’insegnamento che avevo avuto e le parole di Strehler quando mi diceva “Ricordati che il Teatro è il racconto di un uomo che diventa il racconto di tutta l’umanità”».
Brecht è un autore importante per il teatro civile, quando si è confrontata con i suoi testi per la prima volta?
«Con l’Opera da tre soldi, mi colpi l’incredibile intelligenza. Come dice Eco il teatro va a onde, emerge quando il contesto ha bisogno di quel soggetto. Oggi c’è bisogno dell’intelligenza, della lucidità di Brecht. Abbiamo bisogno di capire cosa sta succedendo. In questo spettacolo l’acquaiolo dice “siamo tutti cattivi” ed il primo Dio gli risponde “forse perché non riparano gli argini”. Dobbiamo ricordare la responsabilità civile di ognuno di noi. Ho fatto Giovanna d’Arco quando c’era bisogno di sentire la forza, ho raccontato le donne quando c’era bisogno di sostenerle. Adesso abbiamo bisogno di questo: le recite hanno il tutto esaurito. Questo è quello che il pubblico vuole vedere».
La parabola finale del testo è che di fatto è impossibile essere buoni in un mondo cattivo. Bisogna arrendersi?
«No, no, assolutamente. Anzi. E’ importante rappresentare le difficoltà in questo momento, così capiamo il perché. La dittatura pesca nel disagio, nella povertà; invece di risolvere problemi con equità ci mettono uno contro l’altro.
Il finale che ho scelto per questo spettacolo è diverso da quello di Brecht e da Strehler, il primo affermava che bisogna continuare a cercare anime buone in mezzo alla gente, Strehler diceva “posso essere cattivo almeno una volta alla settimana”. Io sono vicina a Strehler, ma insisto sulla forza del gruppo. L’essere umano quando si unisce agli altri diventa una forza».
Quali sono le difficoltà del suo personaggio?
«Nessuna in realtà. Io ho capito e sposato in pieno il teatro di Strehler, ogni personaggio racconta un gesto sociale: il barbiere arricchito entra rapido e ignobile, la vedova ricattatrice sai già come deve essere. Devi portare in scena un tipo sociale molto ben definito, non è un teatro psicologico, ma molto di più. Ti mette davanti quel tipo. Questo spettacolo è una favola, lo dichiara fin dall’inizio come nella commedia dell’arte. Sono sia Shen Te che il cugino Shui-Ta, perché lei è buona, lui è la sua antitesi, un androide meccanico. Sarebbe un errore farlo fare da un altro attore. L’importante è togliere la miccia che ci fanno accendere: se tiro un pezzo di pane a 7 affamati è una cattiveria, li aizzo l’uno contro l’altro invece di dividere il pezzo di pane in 7. E questo quello che cercano di fare: aizzare l’odio e il contrasto senza dare una soluzione al vivere civile, a un progetto».
Sul suo sito compare una frase di Brecht «Se non avessimo fine cambierebbe tutto ma effimeri siamo e tutto resta così com’è». Perché ha scelto proprio questa?
«Nessuna cattedrale da costruire, come siamo andati a finire? Se non siamo capaci di guardare a un futuro, pensando ai nostri figli, a Dio, a un mondo migliore. Ognuno ha una sua spiritualità, prima si credeva in un mondo che andava oltre adesso invece non siamo capaci di pensare oltre la nostra morte. Nessuno avrebbe costruito una cattedrale o San Pietro, se avesse pensato in questa maniera: il mondo non finisce con te. Siamo diventati così piccoli, chiusi, egoisti, tanto da pensare “cosa me ne importa tanto tra 20 anni saremo morti”. Non avere la visione del futuro è la più grande malattia dell’umanità. Non avere compassione per il frutto stesso del nostro corpo è terribile, pensare che con la nostra morte si concluda tutto rende sterile, inutile,ogni slancio e ferma il progresso, la costruzione del mondo futuro, la salvezza di quello esistente. Nessuna cattedrale da costruire, nessuna opera d’arte, nessuna cura di un mondo che di noi non avrà memoria. Così la nostra fine dà un termine al Mondo. Eppure non è così».
Lei è sia regista che attrice, due ruoli diversi, quale le piace di più?
«In realtà non sono due ruoli separati. L’arte è quella dell’interpretazione di un personaggio o di un testo. Io interpreto un personaggio o uno scenario. La scelta di Brecht è stata quella di tornare ad essere vicina a Strehler: sono nelle mani di un fantasma. Lui è molto contento. Spero che mi protegga nel montaggio e nello smontaggio: se si sporca il ciclorama bianco di tela è finita. Strehler stava fermo in teatro mentre noi giriamo. È molto faticoso, ma anche questo è il suo bello».
Nuovi progetti?
«Sono talmente piena di Brecht che per un paio d’anni rimarrò con lui, ho comprato Gli affari del signor Giulio Cesare, tutta la storia romana vista in versione Lehman Brothers, poi ci sono i suoi racconti della guerra, l’avvento del nazismo, il terzo Reich. È meraviglioso Brecht».

Sabato 16 alle ore 18 Monica Guerritore incontra il pubblico al Ridotto del Teatro Masini.
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