«Rega» è stanco. Si vede e lo dice pure, alla fine di una stagione lunga e stressante alla guida della Rekico. Ma soprattutto al termine di un ciclo che ha pochi precedenti: 7 anni che hanno portato Faenza dalla Promozione fino ai play-off della serie B, con quattro promozioni in cassaforte. Ma ora l’avventura è finita, si sono lasciati di comune accordo ed è il momento di fare il bilancio, con 53 anni sulla coppa e un futuro da decifrare.
«Ci siamo lasciati benissimo, ma dopo tanto tempo il distacco è stato fisiologico, alla fine di una grande favola sportiva. Abbiamo deciso di liberarci a vicenda il prima possibile, così abbiamo il tempo, sia io che la società, di guardarci attorno per il prossimo anno. Lascio Faenza alla fine di una buona stagione, dove abbiamo espresso una bella qualità di gioco, anche se non è arrivato quel tocco in più che ci aspettavamo. Fanno comunque piacere gli attestati di stima che mi stanno arrivando da ogni parte».
Se ti avessero confermato, saresti andato avanti volentieri, o anche per te era arrivato il momento di cambiare aria?
«Credo che certi cicli prima o poi debbano chiudersi, con grande rispetto. Occorre essere onesti con se stessi, perché altrimenti si rischia di compromettere tutto ciò che si è fatto. Fra di noi è stato un ciao più che un addio, nei tempi e nei modi giusti, anche se molto commovente».
Comunque certe decisioni, è indubbio, sono figlie anche dei risultati. E’ stata l’unica stagione dove non si è avvertito uno step in avanti.
«Ci siamo confermati al quinto posto. Credo che, a meno di exploit clamorosi, tipo una promozione in A2, avremmo fatto la stessa scelta. Non sarebbe stato un turno in più di play-off a cambiare le carte in tavola».
Anche nei matrimoni si parla di crisi del settimo anno...
«Ma tra di noi non c’è mai stata crisi, neppure uno screzio. Solo discussioni e critiche costruttive. Credo che, con un nuovo allenatore, anche la società potrà fare dei passi in avanti».
Hai parlato dei tanti attestati di stima. Avevi comunque un bel credito alle spalle.
«Quattro promozioni, una salvezza diretta e due play-off. Non mi ricordo altri percorsi simili, passando da un mondo quasi amatoriale a uno semi-professionistico. Siamo passati dalla Promozione con uno spicchio di curiosi in tribuna a circa 1.500 tifosi fissi al palaCattani. Merito della società, della squadra e dell’allenatore».
Ci credi nei cicli lunghi oppure è stata un’avventura irripetibile?
«Ci credo perché l’ho vissuto: è bello perché attesta una stima totale. Ho avuto condizioni favorevoli e l’entusiasmo ha superato le difficoltà. Negli ultimi anni abbiamo raggiunto un livello difficilmente migliorabile, soprattutto a livello di budget, che è medio-alto, ma non paragonabile ad altre realtà».
Cosa vi è mancato per fare qualcosa di meglio?
«Sarebbe bastato vincere una partita in più nei play-off, oppure una in più in stagione regolare per avere la bella in casa. Un po’ di rammarico c’è nell’ultima nostra sconfitta a Montecatini».
Abbiamo letto critiche sul vostro diverso rendimento tra partite in casa (solo 2 sconfitte) e in trasferta (solo 6 vittorie).
«Eravamo una squadra umorale. Abbiamo giocato generalmente molto bene in attacco e alle volte fuori casa è calato un po’ il carattere, per questione di gioventù, di gruppo e di caratteristiche personali dei vari giocatori».
Cos’è mancato a livello tecnico?
«Abbiamo costruito una squadra che passava attraverso alcune scommesse che non siamo riusciti a vincere. Ci siamo scontrati con la nuova regola dei tre Under e abbiamo pagato a livello di inesperienza e di cattiveria in certi ruoli chiave. Siamo stati tra i pochi a non fare cambiamenti durante l’anno pur pagando alcuni problemi caratteriali e di amalgama che siamo riusciti a superare col tempo».
Che consiglio daresti per scegliere il tuo successore?
«Per struttura societaria, dove non esiste una figura cardine, credo che andranno su un profilo molto diverso dal mio. Suppongo che cercheranno un sergente di ferro».
E Marco Regazzi che idee ha?
«Quella di rilassarmi, alla fine di una stagione che mi ha impegnato su tutti i fronti. Poi mi guarderò attorno».
Ripartire dal basso per rifare una scalata, cercare un’altra panchina di serie B, magari fare il vice in categorie più alte. Avrai una preferenza.
«Anch’io mi sono posto queste domande, ma la risposta non c’è. Di certo voglio fare le cose seriamente, quindi andrò a valutare le persone e le sensazioni che mi sapranno dare, più che le categorie o i budget».
Avendo un lavoro, hai comunque delle distanze definite difficilmente superabili.
«Credo che il basket stia attraversando un momento di crisi e quindi anche certe società di livello più alto non possano più permettersi certi personaggi come negli anni Ottanta. Voglio dire che, se uno riesce a trovare una figura affidabile a certi costi, faccia fatica a lasciarsela sfuggire. Personalmente non sono un professionista in senso letterale, ma credo di essere molto professionale e di avere maturato un’esperienza a tutti i livelli. Nei miei 7 anni a Faenza ho fatto di tutto: allenatore, vice, preparatore atletico, dirigente, uomo di mercato».
Quindi ti apri anche a destinazioni più lontane?
«Non chiudo nessuna porta. Devo capire se il gioco vale la candela, perché sono arrivato ad un punto della vita dove posso anche permettermi di vivere qualche sogno».