Rosanna Pasi (Fnasd) spiega il progetto delle scuole di danza nell’ambito delle celebrazioni

Emilia Romagna | 31 Gennaio 2021 Cultura
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Elena Nencini
Affrontare Dante in un modo diverso: unendo le scuole di danza agli istituti scolastici, mettendo insieme il linguaggio coreutico e i linguaggi verbali è questo il progetto coordinato da Rosanna Pasi, presidente della Federazione Nazionale Associazioni Scuole di Danza (Fnasd), con sede a Castel Bolognese, che è stato selezionato nell’ambito delle Celebrazioni dantesche.
La danza nella commedia è il punto di partenza per un lavoro che coinvolge scuole di danza e istituti scolastici nel nome del Sommo Poeta per insegnare ai giovani il linguaggio coreutico.
Pasi, qual è il fine del vostro progetto?
«Vorremmo collegare il mondo della danza, quindi il linguaggio coreutico al mondo della scuola, cioè i linguaggi verbali, attraverso un libro. Siamo stati inseriti nelle Celebrazioni dantesche perché abbiamo presentato un progetto “Leggere per ballare” dedicato alla danza nella Commedia. Da sempre cerco di creare una rete tra le scuole di danza, dal Piemonte alla Sicilia. Nella nostra provincia ce ne sono tante, quelle che ragionano per fare dei progetti collegati sono 7-8 e aderiscono proprio al progetto “Leggere per ballare”».
Come è strutturato questo progetto?
«Lo facciamo in collaborazione con il professore Giuseppe Ledda che è il dantista dell’Università di Bologna. Il nostro punto di partenza è la tesi di una studentessa di Ledda, Giulia Pugnaghi, intitolata La Danza della Comedia, che vogliamo trasformare in uno spettacolo di danza. Insieme a Ledda abbiamo affrontato il lavoro sulla drammaturgia: il primo passaggio è stato individuare il tema, cioè Dante e la Commedia. Il secondo passaggio sarà coinvolgere le scuole di danza del territorio e soprattutto mettersi in rete con la cultura del territorio cioè con la scuola. Alle nostre scuole di danza il progetto è già stato presentato, da Russi a Ravenna, adesso dobbiamo riunirci per assegnare ad ogni scuola la parte coreografica che sarà scelta insieme al direttore artistico. Nel frattempo ci rivolgiamo al mondo della scuola istituzionale. A loro diamo la drammaturgia e il filato musicale del  progetto-spettacolo e loro, in classe, possono lavorare sul tema. In questo caso qualche personaggio della Divina Commedia. Il progetto è organizzato da un gruppo di lavoro che comprende Arturo Cannistrà, direttore artistico, un musicista che darà il filato musicale, un videomaker per i video e le immagini proiettate durante lo spettacolo e poi le coreografie. Il collegamento con la città avviene attraverso la biblioteca Classense».
State già lavorando con gli istituti scolastici?
«La situazione che si è creata con la pandemia ha messo tutti in difficoltà per lavorare in presenza, quindi abbiamo deciso che il progetto sarà rimandato all’anno scolastico 2021-2022, ma abbiamo bisogno di cominciare adesso: vogliamo fare un piccolo calendario per metterci in contatto con la scuole. Il professore Ledda farà appena possibile una conversazione con le scuole, con gli insegnanti e con i ragazzi che vogliono partecipare. Il punto finale è assistere allo spettacolo che metteremo in piedi».
Avete già realizzato con la biblioteca Classense un altro progetto?
«Si, siamo partiti dal libro L’insalata sotto il cuscino. Storie di disordini e di adolescenti di Stefano Vicari, neuropsichiatra all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma,  in collaborazione con l’associazione sulle ALIdelleMENTI di Ravenna e l’Istituzione Biblioteca Classense. E’ stata una cosa meravigliosa, uno spettacolo-danza che prendeva in considerazione le problematiche dei ragazzi, 7 giovani che sono stati pazienti di Vicari, con grandi problematiche dall’anoressia ai disturbi della personalità, dalla schizofrenia, all’autismo». 
Quanti ragazzi hanno aderito a questo progetto ?
«Portiamo sempre un centinaio di ragazzi sul palco. Non è un concorso, ma un vero e proprio progetto didattico di promozione della danza. Puntiamo alla formazione di un pubblico perché la danza ha pochissimi spettatori: i ragazzi vanno quindi formati perché è un linguaggio che non è molto conosciuto. Il teatro era strapieno. Una professoressa – dopo averlo visto a teatro - mi ha detto “quando mi è stato presentato non avevo capito che era una cosa così coinvolgente”. Vedere dei ragazzi che sono coetanei di quelli in platea, lavorare a scuola con gli insegnanti, conoscere la drammaturgia e il filato musicale fa capire ai ragazzi il lavoro fatto. Devi dare loro gli strumenti per capire e questo li aiuta ad avere delle emozioni che non finiscono quando finisce lo spettacolo, ma che sono formative per la loro vita. 
Le emozioni che provano i ragazzi guardando uno spettacolo di danza possono spegnersi come fuochi di paglia. L’emozione deve essere preceduta o seguita – questa è l’importanza dei mediatori culturali cioè gli insegnanti della scuola -, da un lavoro di approfondimento. Una performance di danza che non ha la parola, spesso è difficile da seguire». 
Qualisono quindi i punti intorno a  cui ruota il vostro lavoro?
«Abbiamo tre categorie di persone: le insegnanti di danza in rete, il rapporto fra le insegnanti di danza e la città attraverso la biblioteca, la biblioteca che si collega strettamente al mondo della scuola dove gli insegnanti diventano i nostri mediatori culturali. Per noi è una sfida grandissima specie in questo periodo di covid. Mettere insieme scuole diverse, stili diversi è una cosa complicata, ma riesce. Perché la direzione artistica è unica e cerca di dare ad ogni scuola la coreografia che le è più idonea».
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