Ravenna, un anno di Pandemia, il sindaco De Pascale: "Situazione ancora molto seria, la sanità deve essere il primo investimento dello Stato"

Emilia Romagna | 28 Febbraio 2021 Politica
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Manuel Poletti - «La situazione è ancora molto difficile, ma non bisogna mollare. La vaccinazione di massa sarà determinate nei prossimi mesi. L’insegnamento principale che traiamo da questi mesi è che la sanità dovrà essere per vent’anni almeno il principale investimento nel bilancio dello Stato». Michele De Pascale, sindaco e presidente della Provincia di Ravenna ripercorre i 12 mesi più drammatici e difficili che si potessero immaginare, dopo che sabato 27 dalla Regione in accordo con i sindaci è stata dichiarata zona "arancione scuro" la Romagna (tranne Forlì per la contrarietà del sindaco locale) a partire da martedì 2 marzo per almeno 15 giorni (scuole chiuse in Dad al 100% e altre restrizioni).
Sindaco De Pascale, dopo 12 mesi di Pandemia, a che punto siamo? L’emergenza non è certo finita, come qualcuno cerca di comunicare...
«La situazione è ancora molto difficile anche sul nostro territorio, veniamo da un anno inimmaginabile. Ormai ci siamo abituati al bollettino quotidiano dei nuovi casi e dei morti, purtroppo. Ravenna è stata toccata poco dalla prima ondata, molto invece dalla seconda. In particolare le Cra sono state colpite duramente in questi ultimi mesi. Ora siamo davanti a una possibile terza ondata, caratterizzata dalle varianti, che mette a rischio tutto quello che abbiamo fatto di buono fino ad ora. Dobbiamo rimanere molto vigili e attenti. A Imola c’è una presenza molto elevata del virus che sta arrivando anche da noi. E’ stata giusta la scelta della Regione di istituire una zona “arancione scura”, la variante inglese del virus si sta propagando velocemente soprattutto fra gli under 20. C’è stata una buona disponibilità dei sindaci in questo frangente, nonostante la durezza delle misure prese, ma andava fatto».
Qual è stato il momento più difficile in questi ultimi 12 mesi?
«Toccano e colpiscono i lutti più vicini; questo vale in generale. Il momento più brutto è certamente quando ti viene a mancare una persona cara, familiare o amico, soprattutto nelle condizioni che abbiamo vissuto in questo ultimo maledetto anno. Io ho due momenti ben impressi. Il primo è piazza del Popolo vuota; ho continuato sempre a lavorare e vederla ogni mattina, in lockdown, completamente deserta. E’ stato alienante. Poi un mio amico chirurgo plastico, che si era offerto per andare a lavorare nei reparti Covid, poco dopo si è ammalato. Il suo racconto della malattia e il suo distacco dalla famiglia è stato molto toccante, tenendo conto che ha avuto una quarantena molto lunga. I primi racconti di chi stava o aveva attraversato la convivenza col virus sono stati molto forti».
Abbiamo riscoperto tutti la centralità della sanità pubblica. Che insegnamento lascia questo periodo?
«Non dobbiamo comportarci come se fosse solo un’emergenza temporanea. In Italia questo errore è stato fato altre volte, ad esempio con i terremoti o in altri casi. Non dobbiamo occuparcene solo per questa fase, per quanto sia lunga. Dico no a dibattiti infiniti che ci farebbero tornare ad una situazione uguale a quella di prima; non deve andare così. Abbiamo capito tutti, spero, l’importanza della sanità pubblica e dei serviazi territoriali. In Italia si spende il 50% in meno che in Germania o in altri territori. Non deve succedere mai più. La sanità deve rimanere il primo investimento del bilancio dello Stato, questo deve essere un punto di non ritorno. Recovery Plan? Molto bene i cambiamenti apportati, per i prossimi 20 anni dovremo aumentare le risorse fino ad arrivare ai livelli dei Paesi più avanzati».
L’economia è l’altra grande malata di Pandemia. Il dibattito sulle restrizioni e le chiusure è diventato stucchevole e molto gravoso per le attività. Come se ne esce?
«Bisogna uscire dalla logica del ‘o solo aperture o solo chiusure’. A Ravenna, aver aperto i centri commerciali e chiuso i musei non ha avuto molto senso. Da Roma si pensa ai grandi musei, come quelli Vaticani o gli Uffizi, perché hanno un flusso settimanale molto alto, ma le realtà di provincia sono diverse e questo andava tenuto presente. I ristoranti non sono il problema, ma alla sera si rischia “la movida” nei centri delle città, questo è il problema. Bisogna trovare un punto d’incontro fra le due necessità, il probleme esiste e le limitazioni hanno avuto anche effetti positivi».
Sono stati adeguati invece i ristori nazionali? Il Comune interverrà ancora?
«A livello nazionale non sono stati sufficienti. In particolare sono stati dimenticati dei comparti come quello delle palestre e delle piscine ad esempio, realtà meno rappresentate. Auspico che ci siano interventi del governo Draghi in questo senso. Noi, come Comune, continueremo a intervenire, non c’è dubbio».
Un’altra ferita aperta sono le scuole. Anche qui bisogna trovare un difficile compromesso. Lei si è battutto spesso su questo fronte. Cosa chiederà al nuovo ministro dell’Istruzione Bianchi?
«Sono contento di tornare a lavorare con Bianchi, che fu già assessore regionale. La scuola è un luogo di contagio, questo è evidente, ma deve essere altrettanto evidente che non è ristorabile. Quasi due anni scolastici persi sono un danno enorme, sia nell’ambito dell’apprendimento che in quello della socializzazione. Difendere la scuola è fondamentale, certo con prudenza, ci vuole misura nelle cose, serve una linea equilibrata per contenere il contagio, senza dimenticare i giovani a casa».
Sul turismo le manifestazioni dantesche rischiano di perdere molte presenze. Avete pensato di allungare fino al 2022 il programma delle celebrazioni?
«Nessuno di noi poteva immaginare che il 2020 e il 2021 sarebbero stati toccati dalla Pandemia. Il 13 settembre 2021 rimane la scadenza del centenario dantesco e verrà celebrata. Sul programma, poi, alcuni eventi ed interventi potranno essere riprogrammati fino al settembre del 2022».
Infine, nel 2021 si voterà anche a Ravenna per le Comunali. Quando?
«Se ne sta discutendo a livello nazionale, la legge prevede la finestra dal 15 aprile al 15 giugno, per spostarle quindi servirà un provvedimento di legge. Personalmente auspico che ci sia una seria riflessione prima di decidere di posticipare le urne. La data del 15 giugno non è da scartare; anzi, rispetto alle date di fine settembre, soprattutto dal punto di vista epidemiologico, la situazione sarebbe migliore, guardando anche a quello che è successo nel 2020. Servirà probabilmente una campagna elettorale concentrata in un paio di mesi, io sono pronto».
 
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