Ravenna, Concita De Gregorio sul palco del Teatro Alighieri sabato 15 parla di donne: «E' importante essere se stesse»

Elena Nencini
«E’ importante essere se stesse», questo è il messaggio che Concita De Gregori, giornalista, attrice, scrittrice e molto altro ancora, racconta nel suo ultimo spettacolo «Un’ultima cosa. Cinque invettive, sette donne e un funerale» al Teatro Alighieri sabato 15 (alle 10 per le scuole, alle 21 per tutti), la musica live di Erica Mou, la regia di Teresa Ludovico. Tutte donne in uno spettacolo in cui De Gregorio sceglie di dare la propria voce a Dora Maar, Amelia Rosselli, Carol Rama, Vivian Maier e Lisetta Carmi. E l’attrice parte da un’idea: sarebbe bello se, al nostro funerale, avessimo la possibilità di arrivarci da vivi, per avere l’occasione di proferire noi stessi l’ultima parola. A spiegare il senso di questo spettacolo è proprio De Gregorio.
Perché ha scelto proprio queste 5 donne e non altre a cui dare la parola?
«E’ la storia della mia vita, ne ho scritte una trentina e ne ho scelte 12 per il teatro. Lo spettacolo ha tre versioni, in cui cambiano i soggetti. Si tratta di donne che ho incontrato nella vita, a volte senza consapevolezza, perché ero troppo piccola, perché non ero pronta, perché avrei voluto ma non ho saputo. Sono persone con cui ho avuto un battito di ali. È un lavoro che dura da decenni in alcuni casi: il primo testo su Dora Maar l’ho scritto 25 anni. Silvina Ocampo - che compare in un’altra versione dello spettacolo - è stata oggetto di una mia tesi, per Dora Maar invece sono andata all’asta a Parigi dei suoi tesori. Per ciascuna di loro c’è stato un filo che mi ha condotto a loro, storie che ho raccolto in un quaderno che mi porto dietro da una vita e che appare sempre in scena. Ho sentito la loro voce, le ho viste e ascoltate, ma molte di loro sono poco conosciute: Dora è la musa di Picasso, Amelia è figlia di Carlo, Silvina è la sorella di Victor, Vivian Maier è la bambinaia di…. Allora ho pensato a dei monologhi con le parole che loro hanno scritto, ognuna ha una voce sua, totalmente diversa, ma la sua. Una sorta di intervista impossibile come nel solco di quelle di Italo Calvino. La certezza di aver fatto bene l’ho avuta quando ho incontrato, durante il lockdown, Lisetta Carmi e insieme abbiamo scritto la sua orazione funebre. Allora mi sono permessa di farlo anche con le altre: ho usato leloro parole , io le ho montate e cucite in un discorso. Una sorta di risarcimento visto che sono sempre state la moglie di, la figlia di, la sorella di, rispetto a una figura maschile.».
I femminicidi sono in netta risalita, conta secondo lei proprio il senso del possesso?
«All’origine di molti femminicidi c’è sicuramente il possesso. In questo senso Lisetta Carmi mi ha detto: “Non mi sono mai voluta sposare perché sentivo che gli uomini dicevamo ‘mia figlia’, ‘mia moglie’ ed io non volevo essere niente di nessuno”. All’origine di questi crimini, orrendi, non fatalità, c’è probabilmente proprio un mal risposto senso di possesso, ma gli unici responsabili sono chi li commette. Una sentenza della Cassazione ha stabilito che non bastano 20 secondi di silenzio per acconsentire a un rapporto sessuale. Si sposta il problema sul fatto che la donna non ha reagito ma qui il problema è l’aggressione, il rovesciamento dei ruoli, c’è un malinteso della natura delle cose. Gli uomini non sono per forza predatori e le donne prede, come uomo non vorrei essere considerato non in grado di trattenermi, mi vergognerei di essere paragonato a una bestia».
Cosa le piacerebbe dire al suo funerale’?
«Ho provato a scrivere qualcosa, ma è molto difficile darsi dei buoni consigli, mentre quando si tratta delle vite degli altri è più semplice. Per me è facile descrivere qualcuno che ho di fronte, ma non descrivere me stessa. Ci penso spesso a cosa potrei dire al mio funerale e quindi ho individuato un paio di persone di cui mi fido che potrebbero farlo, sicuramente so che non voglio un’orazione ipocrita, un panegirico convenzionale. Una persona che conosco ha fatto la lista di chi non vuole al funerale, ecco potrei partire da lì».
Lo spettacolo ha un’appunatmento con i giovani, quanto è importante il teatro per loro?
«Oggi mi dedico al teatro all’80%, ho confinato tutte le altre attività in un spazio minimo, dalla scrittura al dibattito in televisione, li ho accantonati in favore del teatro per recuperare il contatto fisico in presenza, gli occhi negli occhi. Questo campo magnetico è un gesto di cultura politica molto forte, una politica culturale: nulla può sostituire il lato umano delle relazioni non c’è chat, device, telefono, radio, televisione che possa sostituire il teatro. È un rito collettivo, catartico, di purificazione in cui si mette in scena una storia per capire. Di questo seme hanno bisogno le nuove generazioni, perché la loro giovinezza è povera di contatti umani è un bisogno più forte di quello che avevamo noi ai nostri tempi».
Le parole che importanza hanno nella sua vita?
«Parole e silenzio sono la stessa cosa, le parole sono musica. La mia prima formazione è stata musicale, vengo dal Conservatorio. La mia principale attitudine è l’ascolto che ho affinato negli anni degli studi musicali. La musica esiste perché esiste il silenzio, il suono esiste perché si fa silenzio, all’interno di una composizione il silenzio ha a stessa importanza della parola. Ho scritto un libro sul fatto che le parole sono posti dove andiamo ad abitare: non esiste una parola per definire chi perde un figlio, esistono per chi perde il marito, i genitori, ma non esiste la parola orfano di figli: questa mancanza di parola è un ossessione per chi la subisce, vuole dire essere sempre da soli. Le parole sono quindi luoghi dove andiamo ad abitare».