IL TESSITORE DEL VENTO - Il frutto della passione

Emilia Romagna | 16 Gennaio 2023 Blog Settesere
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Guido Tampieri - Nell’anno di grazia 2023 dell’era cristiana, qualcuno può davvero pensare che tutto quello che affligge il mondo, sofferenze, disuguaglianze, guerre, cambiamento climatico, sovranisti, populisti, Sgarbi, Orsini, dipenda dagli errori della sinistra, dalla perdita della «passione», dalla mancanza di una «visione», dalla sterilità di tutti i suoi dirigenti, in ogni parte del globo, e di quelli italiani in ispecie e in particolare del Pd, vecchi e nuovi, e ancor più specificatamente del topolino che l’onesto Letta incautamente al mercato comprò, innescando una catena di disgrazie senza fine?
E che basti sostituirlo al più presto con Bonaccini, Schlein o Cuperlo perché tutto ritorni più bello e più forte che pria? Senza interrogarsi sulle cause profonde delle difficoltà planetarie della sinistra.
Senza volgere lo sguardo attorno per cercare di capire se altri fattori, oltre alla criticatissima partecipazione del Pd alle coalizioni spurie di un Parlamento instabile, non abbiano concorso ad oscurare il ruolo della sinistra intera nel momento in cui il crescendo delle contraddizioni sociali avrebbe dovuto esaltarlo. Se il callido Renzi, il pallido Bonelli, il frastornato Calenda, l’inconsistente Fratoianni non abbiano avuto una parte in commedia.
Se il sorpasso in retromarcia del nuovo Fregoli del varietà politico nazionale rappresenti davvero una vittoria o non piuttosto l’epilogo di un esperimento politico che ha portato nella democrazia italiana solo altra confusione contribuendo all’affermazione di quella destra estrema che diceva di aver scongiurato col suo avvento. Non è così che torneremo a riveder le stelle. A forza di dire che bisogna far presto si rischia di somigliare a quegli anziani che attraversano col rosso per correre a casa a far niente. Circoscrivere la riflessione al solo Pd deforma il paesaggio e confonde la prospettiva. Ci sono condizioni politiche che vanno al di là del Pd e condizioni culturali che vengono prima della politica stessa. Non si afferma un’egemonia di valori demandandone la declinazione ai soli partiti senza il contributo dell’arcipelago intellettuale progressista, senza attingere ai sentimenti e alle esperienze solidali che fermentano nella società. In queste condizioni il congresso del Pd rischia di diventare un rito onanistico e le critiche infertili che gli vengono riservate un esercizio sadomaso. Qualcosa tra Maramaldo e Tafazzi che non giova alla causa progressista e non serve nemmeno a salvarsi l’anima.
Non so quanti conoscano il manifesto dei valori del Pd del 2008. E se qualcuno abbia seguito il lavoro dei saggi che ne ha preceduto la stesura. C’erano anche persone di valore, appassionate, Tullia Zevi, Petrini, Lerner. Ho riguardato quel documento. C’è tutto. Visione, valori, principi. Ci sono le donne e i giovani, c’è l’ecologia, c’è il lavoro e la giustizia sociale, la cultura, la scuola, la sanità... e la pace naturalmente, che manichei un po’ lo siamo ma guerrafondai non lo fummo mai, nemmeno oggi credo, anche se qualche cialtrone lo grida al vento. C’è tutto quello che si rimprovera al Pd di non avere.
Il dito dei fondatori indicava la luna. Forse non era piena, forse non era rossa, come scrive Nadia Urbinati, eccependo fondatamente che la ragione sociale del Pse ha un’ispirazione e aspirazioni più nitidamente socialiste. Anche se trascura di dire che nel vortice di questa «perenacrisis» i partiti socialisti e socialdemocratici hanno segnato il passo come il Pd. Per non parlare della sinistra massimalista. E questo vorrà pur dire qualcosa a chi non si accontenti di spiegazioni troppo facili. È giocoforza tornare alla inevasa domanda di Bobbio: «Socialismo e sinistra sono stati per lungo tempo sinonimi. Ora non lo sono più. Cosa resta?».
La ricerca intesa a costruire un’identità politica nuova nel vivo dei processi di cambiamento del mondo era giusta e così l’idea dell’incontro fra i tre ansimanti riformismi storici che, divisi, stavano esaurendo la loro funzione. La formazione che stava nascendo non era, non voleva essere una sinistra in purezza ma non si negava affatto a politiche e riforme ispirate ai suoi valori. Anzi, doveva renderle possibili laddove in Italia non lo erano mai state. Perché anche i valori più grandi hanno bisogno della forza parlamentare che li traduca in fatti.
Quella che era mancata ai Governi Prodi e che nemmeno il Pd è riuscito a conquistare. Ha preso parte, è vero, a molti governi, da quello iper emergenziale di Monti in qua, ma mai in condizione di poterne disporre.
È abbastanza per muovergli addebiti ma forse è poco per schernirne i principi e gli intenti, gli uomini e le azioni. Una manifestazione di conformismo dove si mischiano giudizio e pregiudizio. Non tira buona aria per la sinistra. L’algido Cuperlo non possiede meno passione dell’irruente Meloni.
Né c’è mai stato nel Pd un disegna di smantellare la sanità e la scuola pubblica ma piuttosto l’incapacità di farle funzionare in tutto il Paese. Si fa presta a dire visione. Poi occorre si crei un ambiente per poterla coltivare, una programmazione per darle gradualmente vita, una cassetta degli attrezzi per far bene le cose. Che se dici che ci vuole una politica industriale, poi devi sapere cosa ci metti dentro.
E se denunci che i salari sono bassi, poi devi dire come alzarli, che farlo alla Mercedes è facile ma in imprese con zero ricerca, poca innovazione di prodotto, tanta competizione di costo e una qualche inclinazione al nero...auguri.
Per un tempo probabilmente lungo la sinistra non avrà la possibilità di risarcire con atti di governo il debito di credibilità accumulato negli anni in cui era lecito attenderseli. È un guaio. Perché le virtù non si dimostrano a parole ma si mostrano coi fatti. Anche se a volte gli elettori fanno pensare il contrario.
 
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