IL TESSITORE DEL VENTO di Guido Tampieri - Vattelappesca

Emilia Romagna | 09 Ottobre 2023 Blog Settesere
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Guido Tampieri - Come sia venuto in mente alla segretaria del Pd di chiamarsi Schlein Dio solo lo sa. Già con Elly ce n’era d’avanzo. La sventurata sembra non rendersi conto che un nome così, che si fatica perfino a pronunciare, risulta ostico ai ceti popolari coi quali la sinistra cerca di riallacciare un rapporto.
Vuoi mettere con Meloni, che tutti li conoscono e apprezzano, specialmente col prosciutto. Se poi nei discorsi ci infili parole astruse la frittata è fatta e forse hanno ragione quelli che sono già lì con la vanga in mano a strologare per un nuovo segretario. Oddio, quando parla io la capisco, e però sono èlite, come ogni italiano che nella vita abbia letto più di due libri. Senonché la capisce anche mio cugino Federico, che ha fatto l’operaio, seppur specializzato. Può non essere d’accordo sui contenuti ma la capisce.
Anche la parola «esternalizzazione», alla quale Lilly Gruber ha impiccato la segretaria del Pd per due settimane. Come se gli operai fossero così malridotti da non poterla comprendere. Quando sono decenni che l’espressione è ricorrente nel mondo produttivo. Non c’è lavoratore che non la conosca e tema. Come non c’è lavoratore che non si sforzi di seguire i suoi dirigenti, quando li riconosca come tali, lungo i sentieri di un’elaborazione che, a sinistra, è stata sovente impervia.
Anche Marx, anche Gramsci scrivevano difficile e tuttavia erano amati e valevan ben lo sforzo di capirli. Le cose vanno esposte nel modo più semplice possibile, diceva Einstein, ma non più semplice di quel che è possibile. È forse il caso di mettere da parte un po’ di luoghi comuni e di rivalutare l’idea di emancipazione. Sia detto senza retorica, i «miei» braccianti, quando ho avuto l’onore di rappresentarli, ci credevano, non gli piaceva restar seduti sui gradini più bassi del sagrato, sapevano apprezzare lo sforzo dell’ascesa alla cattedrale. Al più, se esageravi, ti prendevano per i fondelli. Un esercizio salutare per tutti i dirigenti.
Anche la politica, anche un parlare istruito può giovare all’acculturamento. È così che si rispettano gli ultimi: accreditandoli. Parla come magni o, peggio, come rutti, non è «di sinistra». È dall’onestà, dall’intelligenza, dalla coerenza che si giudica un politico. È un fatto che la segretaria del Pd non incontra sul suo cammino una critica benevola. Né a destra, come è scontato, nè a sinistra, dove dovrebbe essere meno ovvio, nè all’interno del suo partito nè fuori, fra giornalisti, commentatori, intellettuali col prefisso «io sono di sinistra ma», che non le perdonano niente, neanche quando non c’è niente da perdonare.
Meglio, allora, fare come Padellaro che, per respingere i rilievi di un eccesso di accanimento verso il Pd, si è difeso come San Pietro al canto del gallo: «quando mai ho fatto cose di sinistra?» ha detto l’ex direttore de l’Unità. Sarà che da qualche tempo va di moda dire che il Pd non ha una strategia, uno straccio di proposta su nulla, e quando ce l’ha in ogni caso non è chiara, mai. Sarà che non la conoscevano, nemmeno chi l’ha votata alle primarie, che non l’hanno vista arrivare, che forse hanno esagerato con le aspettative e ora subentra la disillusione.
Sarà come sarà, ha ragione Bersani a dire che Elly Schlein viene spesso rappresentata come una macchietta che parla, veste, gesticola male, quando in giro c’è di peggio assai e la sinistra non ha di meglio in questo momento da offrire per tenere assieme un partito irriducibile alla concordia, per provare a costruire uno schieramento alternativo verosimile, per definire un progetto di società credibile in cui vecchi e soprattutto giovani possano riconoscersi.
Il malessere che si manifesta nel partito è comunque preferibile al finto benessere che ne ha contraddistinto l’esistenza. Se mai conferma che occorreva portare lo scandalo all’interno di una nomenclatura che attraverso l’esercizio del potere sopravviveva ormai a sè stessa.
È ingeneroso, crudele e un po’ sciocco chiedere a Elly Schlein, in sei mesi, di trascinare fuori non solo il Pd, ma l’intero centrosinistra dalla fumeria d’oppio in cui ha consumato tristemente i suoi giorni fra vaniloquenti proclami e sterili conflitti. Per riportarlo a contatto con una realtà che pretende dai partiti che lo compongono la costruzione di un’alternativa come condizione d’equilibrio del sistema democratico in Italia. Nel presupposto che il movimento non è un difetto ma la condizione naturale di tutte le cose e che la linea di confine non passa fra moderati e radicali ma fra questa destra e la sinistra nelle sue variegate espressioni. Io quanto valga Elly Schlein ancora non lo so, né la segretaria del Pd mi aiuta a sciogliere i dubbi attraverso la scelta dei suoi collaboratori più stretti. Non sto parlando della persona, rispettabile più di tanti suoi critici, ma della statura politica, della capacità di interpretare i bisogni, di dar loro forma progettuale, di suscitare una corrispondenza emozionale.
Che è qualcosa di diverso e di più dell’essere intelligente, se no il Pd poteva ben tenersi stretto Bersani anziché prendere la strada piena di buche che ha imboccato dieci anni fa, confidando che un individuo risolvesse i suoi problemi collettivi. È la capacità di essere una leader, che non vuol dire solo decidere ma attrarre, convincere con le idee e le parole giuste nel momento giusto. Senza di ché difficilmente i suoi riottosi compagni di viaggio si metteranno comodi. Nemmeno lei, del resto, è stata composta al banco quando a governare il Pd erano altri. Continui ad esserlo, un po’ indisciplinata, movimentista e radicale. Perché grande è il cambiamento che serve per voltare pagina. Il rientro nel partito dei fuggiaschi dal renzismo va bene ma non porta nuova linfa. Ha ricondotto dentro un pezzo di passato ma quella che serve è un’idea di futuro. Che la destra possiede sbagliata e la sinistra fatica a definire. Si rivolga alle generazioni ancor più giovani della sua, dia loro fiducia e ruolo. Il nuovo arriva sempre inaspettato e non è quasi mai il vecchio ad annunciarlo.
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