IL TESSITORE DEL VENTO di Guido Tampieri - Senza luce

Emilia Romagna | 12 Giugno 2023 Blog Settesere
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Guido Tampieri - Delusi si, sorpresi no. Non dopo tante sconfitte, in Italia e non solo (il risultato davvero inatteso viene dalla Spagna). Maturate con gli assetti più disparati (da Bersani a Renzi a Zingaretti a Letta a Schlein abbiamo tirato fuori dalla tastiera tutti gli accordi possibili). Scambiando spesso fuochi fatui per stelle. Con il solo denominatore comune della disunione. A rafforzare il convincimento che il centro-sinistra, questa entità metafisica che l’avvento di Renzi e di Grillo ha cancellato dall’orizzonte politico ravvicinato, se esistesse, se si desse un assetto decente, Meloni o non Meloni, che la storia ci ha proposto avversari anche più attrezzati, paradossalmente ancora se la gioca.
Sono i numeri a dirlo, quelli di chi ha votato e quelli di chi non si è recato alle urne nè ad accreditare una rinascita della sinistra che ancora non c’è né a sposare le ragioni di questa destra reazionaria.
Poco oltre le acque territoriali dei partiti c’è un oceano di acque libere in cui nuotare. Lo dico con forza, a dispetto dell’opinione che vorrebbe la sinistra alla fine della corsa e la storia, ancora una volta, alla fine della pista, per scongiurare che si affermi l’idea, sostenuta dalle forze conservatrici per ovvie ragioni e da quelle progressiste per giustificare gli insuccessi, che l’Italia è di destra. «La natura del Paese sta cambiando» sostiene Prodi, e tuttavia è presto per dire che il vento soffia in una sola direzione. Si segnalano piuttosto venti in forte rotazione. Solo tre anni fa il risultato delle elezioni europee induceva i commentatori frettolosi a decretare la fine del sovranismo, la tornata amministrativa del 2021 ha visto la sinistra affermarsi nelle maggiori città italiane, per non parlare della enorme considerazione di cui gode l’ottimo Mattarella. Che di destra certo non è.
L’Italia non è fatta a immagine di Giorgia e dei suoi fratelli, è piuttosto un Paese opportunista, ammaestrato dalla storia ad esserlo, aduso ad accorrere in soccorso del vincitore. Basti vedere la pronta presa con cui tante associazioni si sono cementate al nuovo sistema di potere, rimuovendo la memoria dei suoi imbarazzanti trascorsi. Ammesso che nel mondo d’oggi esista ancora la memoria dì qualcosa.
In questa società ingiusta le ragioni della sinistra sono più forti che mai. Come tradurle in un progetto di società attrattivo e in azioni di governo che riducano le diseguaglianze è il problema. Per i limiti di chi la rappresenta, un po’ ovunque vien da dire se dove ancora vince, come in Brasile e negli Usa, a guidarla sono degli ottuagenari, e per un concorso di circostanze storiche di cui prima o poi bisognerà cominciare a parlare.
Per non continuare a macerarsi nei sensi di colpa. Lasciando tutti i ragni a dormire comodamente dentro i loro buchi. Prima di dedicarci alla scarnificazione della nuova Segretaria del Pd, anima corpo e abbigliamento, che, sciolto nell’ acido Letta, è lo sport del momento,  cominciamo col dire la cosa più ovvia di cui, al tirar delle somme, si finisce per non tener più conto, perdendosi in ragionamenti orbi del fondamento.
Come se una cosa cessasse di essere giusta, e necessaria, solo perché non si realizza (Shakespeare nel Re Lear sostiene esattamente il contrario: «Tanto più necessaria in quanto manca»). Un po’ come accade per la riforma fiscale, dove l’esigenza di contrastare un’evasione che squilibra l’assetto di qualsivoglia sistema, finisce per perdere valore, consumata dal tempo, dall’inerzia e dall’inganno, per prendere le vie insane che ha imboccato il Governo. A volte è meglio essere vaghi, se così vi pare che sia la Segretaria del Pd, che dire boiate come quelle del «pizzo di Stato».
È singolare questa distinzione tra evasori grandi e piccoli per una destra che incrudisce i giudizi e le pene per i reati minori ed ha sempre un pensiero di riguardo per quelli maggiori. Col risultato elettorale questi otto mesi di Governau Meravigliao c’entrano assai poco, e così l’armocromia della Segretaria Pd. Gli elettori non hanno scelto fra Meloni e Schlein ma ancora una volta fra la proposta politica dello schieramento che c’è e la chiacchiera inservibile dello schieramento che non c’è.
Che il centrosinistra abbia perso anche nelle città in cui è riuscito ad attaccare qualche coccio ha reso, se si vuole, ancor più nitida la percezione collettiva di quel che potrebbe essere e non è.
Contendersi il primato dell’opposizione, mettere l’accento della critica al Governo un po’ più in qua o un po’ più in là senza nulla determinare, è una foglia di fico messa a schermo dell’impudicizia di aver rinunciato prima a competere e poi ad incidere. In queste condizioni il campo progressista non ha nulla di attrattivo, è un luogo sterile in cui non nascono nemmeno i sogni di raggiungere l’isola che non c’è. Né, del resto, Elly Schlein è Peter Pan.
Presentarle il conto delle perversioni di Renzi, delle paturnie di Calenda, delle ambiguità di Conte, non è giusto. Dicono che non è ancora, se mai verrà, il tempo di unire le forze. Dicono che bisogna prima fissare l’identità di ciascuno. Se non fosse che l’identità è anche, forse soprattutto, relazione. C’è un’identità delle parti e c’è un’identità dell’insieme che, direbbe Aristotele , è più della loro somma. Quell’identità non si trova al bordo della strada, si costruisce.
Che «da soli non si vince» mio cugino Federico, anni 84, l’aveva capito prima delle infinite dispute sulla vocazione maggioritaria. L’avessimo fatto Segretario del Pd ora non saremmo a questo punto. Con una destra che sa dove andare ma non è un bel posto, perché lì c’è solo un passato senza futuro. E una sinistra che si ritrova in una selva oscura, col seguito che conoscete. Anziché continuare a gridare che è buio si potrebbe provare ad accendere una luce.
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