IL TESSITORE DEL VENTO di Guido Tampieri - Question time
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Guido Tampieri - Anche le domande, come gli esami, non finiscono mai. Specie quando non ricevono risposte convincenti. Che vanamente cercheresti nelle argomentazioni dei protagonisti del confronto parlamentare fra la Presidente del Consiglio e i leader dell’opposizione. Al termine del quale si sono moltiplicate. È vero che la politica è partigiana, che la retorica è un’arte, che le elezioni sono alle porte e che il fine, dicono, giustifica i mezzi, ma una volta ogni tanto sarebbe bello chiudere il cerchio della razionalità, provare la confortante sensazione che almeno loro, al livello più alto, le persone chiamate a decidere dei nostri destini, conoscono la soluzione ai problemi che ci assillano.
Come fermare le guerre, come salvare la Terra, come governare i flussi migratori, come far funzionare meglio la sanità e la scuola, come trattenere le imprese in Italia, con quali politiche industriali
Non se farlo, che siamo d’accordo un po’ tutti, ma come, che comporta scegliere. Con intelligenza, competenza, lungimiranza, onestà. L’immagine è quella di un ceto politico che più che a edificare il futuro è tutto preso ad addebitarsi un passato poco lusinghiero per tutti. Accuse e recriminazioni tante, verità poche, soluzioni ancor meno. Ma è di soluzioni costruite sulla verità che c’è bisogno per arrestare il declino dell’Italia.
Ed è su di esse, prima che sull’abilità oratoria dei leader che si misura la credibilità delle forze politiche. Quella dei partiti di governo sui risultati, quella delle opposizioni dalla prospettazione di alternative convincenti. Se il Governo gioca. a fare l’opposizione attribuendosi i meriti di quel che va e scaricando sugli avversari la responsabilità di ciò che non va é perché sa che la realtà è meno bella della rappresentazione e perché i rilievi critici della sinistra al suo operato non configurano tuttavia un disegno organico nel quale gli elettori si riconoscono.
I temi sono quelli giusti, le analisi e le proposte non ancora. Dire che Giorgia Meloni è «la regina dell’ austerità» è un’affermazione ambigua se Elly Schlein non mette in campo un progetto sostenibile che tenga assieme spesa buona, come la chiamava Draghi, e risanamento dei conti pubblici. Tanto più all’indomani di una mostra dedicata a Enrico Berlinguer, che dell’idea di austerità come criterio politico e sociale é stato il re. Del pari, sostenere, come fa Conte, che il Presidente del Consiglio è un «re Mida al contrario» lascia il tempo che trova se non dimostri che un altro modo, più efficace e responsabile, di impiegare le risorse é possibile.
Adam Smith ci ha insegnato che il meccanismo dell’economia funziona fino a quando «la prudenza prevale sulla prodigalità», ovvero quando la responsabilità verso il futuro prevale sull’uso dissipativo delle risorse. Il 110% di contributo pubblico all’iniziativa privata é un esempio di uso dissipativo. Di cui c’è poco da andar fieri. Che indebitarsi senza criterio sia un bene é una tesi contraddetta dall’esperienza. Dal 60% del rapporto debito-Pil che veniva considerata la misura del buongoverno negli anni dello sviluppo all’attuale 140% ben poco in Italia é migliorato. In economia e nei servizi ai cittadini. L’idea, nei tempi e nei modi possibili, di tornare a un avanzo primario di bilancio non può essere espunta dall’orizzonte politico di questa generazione per essere scaricato, come il contrasto al cambiamento climatico, su quelle che verranno. É ciò che è accaduto, con stupefacente uniformità di accenti, in occasione del nuovo patto di stabilità europeo che ha fissato dei limiti all indebitamento degli Stati più rigorosi di quelli che l’emergenza covid aveva indotto temporaneamente ad adottare.
Poteva essere altrimenti? E se si, come? Con l’appoggio di chi? Io che con Giorgia Meloni non condivido nemmeno il calendario gregoriano, credo che i margini per ottenere condizioni più favorevoli per l’Italia fossero limitati. Senza bisogno di essere proni davanti alla Germania e alla Francia. Che è l’argomento principe di tutti i sovranisti anti europei, quello che non vorresti mai sentire dalla bocca di un progressista. Darsi delle regole è una necessità di ogni comunità che voglia avere un futuro. L’unione dei Paesi europei non può acconciarsi all’idea di lasciar mano libera a tutti per continuare ad accumulare debito.
Quello dell’Italia nel prossimo triennio si prevede crescerà ancora, mentre Paesi come il Portogallo, l’Irlanda e la stessa Grecia, finiti nelle mani della famigerata troika, stanno rientrando con indicatori migliori dei nostri. Il Pil della Spagna del vituperato Sánchez è cresciuto quest’anno del 2,3%. Dal 2015 l’Italia ha avuto dall’Europa oltre mille miliardi. Con le montagne che ancora franano e i fiumi che ancora esondano. Forse è il caso di pensare a come utilizzare meglio i soldi che abbiamo. L’etichetta di inaffidabilità per un Paese che attende ogni volta col fiato sospeso il responso delle agenzie di rating è l’ insidia più grave che possiamo incontrare sul nostro accidentato cammino. Solo uno squilibrato può pensare che se salta il sistema bancario tedesco quello italiano sia al riparo dai rischi. Chi garantirà per noi il giorno in cui dovessimo incorrere in brutte avventure? Dopo aver bocciato l’ombrello protettivo del Mes. Che viene in soccorso delle banche per l’eccellente ragione che dentro ci sono i nostri risparmi. Si, c’è confusione sotto il cielo. E tanta demagogia. Alimentata da una classe dirigente che non riesce o non vuole guardare in faccia la realtà. Qui é l’inizio dei nostri problemi. Dove sia la fine non si sa.