IL TESSITORE DEL VENTO di Guido Tampieri - La fuga del cavallo morto

Emilia Romagna | 18 Settembre 2023 Blog Settesere
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Guido Tampieri - L’umanità ha davanti a sè tre battaglie campali. Ineludibili, decisive per il suo futuro. Tre giuste battaglie potremmo dire senza mancare di rispetto a quella combattuta da San Paolo 2.000 anni fa in nome della fede. La prima, la più importante, la più difficile, come ha reso subito evidente la contrastata ascesa agli aspri contrafforti della transizione ecologica, riguarda la salvezza della Terra. La seconda, sotto l’incombente minaccia dell’olocausto nucleare, riguarda la costruzione della pace, che deve essere, nella visione di Giovanni XXIII, «opera della giustizia». Che a sua volta, ed è il terzo fronte di civiltà aperto, è levatrice della dignità di ogni essere umano. Le idee di progresso marcano oggi il passo su tutta la linea. La rottura dei vecchi equilibri non ne sta generando di migliori. Un lungo stallo pieno di vuoto. Che riempiamo più di passato che di futuro. Più di contrapposizioni che di soluzioni. È in crisi la nozione stessa di progresso.
Al fondo dobbiamo registrare la rottura dell’ordine giuridico liberale internazionale. Compromesso dall’urto disordinato del liberismo economico e dalle chiusure ideologiche sovraniste che per riflesso ha rianimato. Fenomeni che hanno prodotto la crisi degli strumenti creati nel secolo scorso per regolare le questioni a scala sovranazionale, e la manomissione di principi che sembravano definitivamente acquisiti «a graduale ed effettiva protezione - così Bobbio- dei diritti umani anche al di sopra degli Stati».
Lo svuotamento del ruolo dell’Onu è il tragico emblema di un fallimento storico che ci rende inermi di fronte ai soprusi, ovunque perpetrati. Se all’interno di uno Stato sovrano non c’è tutela dei diritti, dal consesso internazionale non viene più alcun messaggio di speranza. Diciamo che ogni essere umano ha diritto di essere trattato come tutti gli altri ma siamo i primi a sapere che non è così. Le pagine di Se questo è un uomo  di Primo Levi potrebbero essere scritte nelle città rase al suolo della Siria, nei campi minati dell’Ucraina, nelle terre assetate dell’Africa sub sahariana, nelle carceri libiche, fra le onde del mediterraneo, fra la gente ostile che accoglie un povero Cristo come un invasore e lo evita come un untore. Nascosti dietro l’ipocrisia dei nostri velleitari enunciati abbiamo rinunciato a cercare risposte capaci di oltrepassare il ponte. Fingendo di ignorare che non c’è garanzia di pace né nelle armi né nel pacifismo di Santoro. Che non c’è garanzia di libertà nella democrazia esportata con la forza ma nemmeno nel silenzio che ha sepolte vive le ragazze afghane dopo il ritiro delle armate dell’Occidente.
Che non c’è un embrione di giustizia né un barlume di dignità nello sfruttamento indiscriminato dell’uomo sull’uomo, nelle periferie degradate, nei luoghi di lavoro che divorano l’anima e spesso la vita. Che c’è solo la resa. Alla «cattiveria degli uomini che renderà impossibile la pace perpetua», diceva Kant. Alla cecità che ci impedisce di vedere l’abisso verso cui ci conduce la crisi climatica.
Al virus della diseguaglianza che si diffonde sempre più, fino a compromettere la coesione della comunità e la salute della democrazia. È paradossale che mentre i nostri figli si battono per un futuro più pulito e giusto noi siamo qui a difendere un presente insicuro e ingiusto. Tra il tutti uguali del comunismo e il sempre più ineguali cui sembriamo condannati, c’è spazio sufficiente per costruire equilibri decenti, per tutelare i diritti civili e sociali, per riconoscere i meriti e soddisfare i bisogni, per offrire a tutti la possibilità di realizzare le proprie aspirazioni o almeno di sperare in un domani migliore. Nel segno della riconciliazione fra le persone e con la Terra. È nelle coscienze che prendono forza i diritti ma è compito della politica portarli a sintesi progettuale. Che però nessuno propone.
Su come aumentare il Pil ci sono ( approssimative) idee di destra e di sinistra ma su come diminuire le diseguaglianze, assicurare il diritto al cibo, a un lavoro dignitoso, a un ambiente sano, a una assistenza sanitaria degna, a un fisco giusto, il piatto e non solo quello, piange. Eppure è questa la posta in gioco alle prossime elezioni europee. Molto di più del rapporto di forza fra i partiti da giocarsi poi sulla ruota del lotto nazionale. Ed è questa l’impronta che il centrosinistra, come mi piace ancora chiamarlo, senza quel trattino che la realtà non propone, deve riuscire a dare nel poco tempo che ha ancora a disposizione. Per riempire di significato l’alternativa che vuole rappresentare. Intrecciando i tre cerchi della vita, della pace e della giustizia. L’Europa, e la sinistra con lei, può prendere la guida di questa sfida planetaria o firmare la resa abdicando al ruolo di grande potenza civile. Al punto in cui stanno le cose la disperazione sarebbe fuori luogo quanto la speranza. L’attuale modello di relazioni economiche e sociali reca con sé un fardello ogni giorno più pesante di contraddizioni insostenibili. La sua fuga dalla responsabilità di affrontarle, una anomalia nella storia del capitalismo, non porta da nessuna parte, è la fuga di un cavallo morto. È giunto il momento che la sinistra dica se c’è un altro luogo, indichi dov’è è cosa ci si può trovare. Sennò, ha scritto qualche tempo fa Adriano Sofri «sarà tre volte Natale per alcuni e niente per tutti gli altri, e conviene mettere le vele al vento che tira. Ma non è progresso».

 
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