IL TESSITORE DEL VENTO di Guido Tampieri - Il Figliuol prodigo

Emilia Romagna | 10 Luglio 2023 Blog Settesere
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Guido Tampieri - Abbiamo il Commissario. È una buona cosa. Le manovre attorno alla sua nomina hanno rallentato la ricostruzione. I pur condivisibili rilievi sul centralismo riserviamoli ad altri momenti. Stato e Regioni si contendono le funzioni da mezzo secolo ma è difficile sostenere che, nei rispettivi ambiti, le abbiano esercitate al meglio. Un’integrazione funzionale fra le Istituzioni, nel segno della leale collaborazione auspicata dalla Costituzione, è ancora di là da venire. Troppe riforme inappropriate, troppi calcoli politici anteposti all’interesse dei cittadini. La scelta dell’uomo che ha diretto le operazioni in occasione del Covid depoliticizza una questione che il Governo aveva sconsideratamente politicizzato. Si fa sempre più insistito il richiamo all’interesse nazionale, di cui Giorgia Meloni ama rappresentarsi esclusiva depositaria. Siamo palesemente sulla via dell’unzione, alla quale pare che i leader della destra non riescano a sottrarsi. Quasi che il voto che li legittima a governare (nel caso di Giorgia Meloni quello di 2 italiani su 10) ne sancisca l’identificazione con lo spirito e la carne della «Nazione».
Come se ne esistesse un’espressione autentica e immutabile e non invece un’interpretazione pluralistica e cangiante. Quale sia l’interesse dell’Italia non l’ha deciso uno volta per tutte il Parlamento nell’atto di votarle la fiducia. Tanto più che metà delle cose dette in campagna elettorale vengono ora contraddette.
Il ministro alla difesa Crosetto, prendendo alla lettera il proprio incarico, sostiene che Giorgia Meloni dice sempre la verità. Deve essere confortante credere che sia vero. Io non ci sono mai riuscito, nemmeno nei miei momenti peggiori. Il capo del Governo ha diritto di criticare chi vuole, non di sottrarsi alle critiche. In nome del popolo sovrano. È stata premiata, non consacrata. Gli oppositori non possono essere messi a tacere. Né si può celare sotto la maschera del bene comune l’interesse di parte. Che un po’ tutti perseguono una volta giunti nella stanza dei bottoni. È il cuore del problema che Enrico Berlinguer intese porre sollevando la Questione morale. Tuttora irrisolto, da qualche tempo quasi ostentato. Le risorse necessarie a curare le ferite della Romagna non sono riservato dominio di questa o quella forza politica, non sono assoggettabili ad alcuna condizione che non sia quella dell’efficienza e della trasparenza nel loro uso. Spettano di diritto ai cittadini. Finora elusa con argomenti capziosi volti solo ad ostruire il percorso che portava a Bonaccini, la questione si ripropone ora nella sua essenza, che è quella di ottenere dal Governo che in occasione del ritorno del Gen. Figliuolo uccida il vitello grasso. Per fare quello che è giusto per gli abitanti delle aree colpite ed è necessario per il Paese, che non può permettersi di pregiudicare l’economia di queste contrade. È tempo di chiamare il si sì e il no no. Se servono 5 miliardi di euro il Governo stanzi 5 miliardi di euro, se ne occorrono 10 si metta in condizione di reperirli. Lo faccia e gliene renderemo merito. Il sottosegretario Bignami si tolga dalla testa l’idea che la Romagna sia un suk arabo in cui tirare sul prezzo. Quando questa destra «sociale» ha usato, unico caso nella storia, i soldi dei contribuenti onesti per condonare e premiare i patrioti che evadono le tasse, ha perso il diritto di accampare i limiti di bilancio nel far fronte a situazioni più degne. Il mito dell’ underdog sensibile alle istanze dei più bisognosi si incrina sotto il peso di scelte volte a favorire i favoriti. Fisco, sanità, salari, precarietà, povertà, è un crescendo di misure inique, corporative, classiste. E di omissioni, come questa scandalosa latitanza nel contrasto all’inflazione causata dalla speculazione.
Libera volpe in libero pollaio. Nessuno oggi è più indifeso di un galantuomo. In compenso rifacciamo e ripaghiamo le Province. Così non ci saranno più né siccità né alluvioni. Svanita l’eco dei canti d’amore per la Romagna, l’umore volge al nero. Prigioniero dello sconcerto per un evento calamitoso inatteso e dello sgomento per la sua possibile ripetizione. Senza una spiegazione dell’accaduto convincente e la prospettazione di un piano d’azione rassicurante, il disagio nei confronti delle Istituzioni è destinato ad acuirsi. È ora di dire parole più nette di quelle che abbiamo finora ascoltato, di sceverare più a fondo le cause di quel che sta accadendo in cielo e in terra, di spacchettare i problemi e le responsabilità, che sono differenti da monte a piano, che sono individuali e collettive, operative e culturali, antiche e recenti, nazionali e locali, perché il territorio non è mai stato una priorità per alcuno e men che meno per chi ancora nega il cambiamento climatico.
Riconoscendo, ciascuno per la sua parte, sottovalutazioni e limiti, che non c’è alcun male a dirlo dato che il futuro è precipitato sul presente più rapidamente del previsto e la portata degli eventi era in certa misura fuori portata delle previsioni di Istituzioni e cittadini. Che in quest’epoca di rinate superstizioni non sono così sensibili ai richiami della scienza.
«Fail again, fail better», scrive Bekett, non c’è altra strada che provare a sbagliare meglio di come abbiamo sbagliato finora. È necessario risarcire ma anche definire nuovi criteri d’uso e di difesa del territorio. Lo dobbiamo alla nostra gente e, in fondo, anche ai nostri Amministratori. I sindaci non sono tutti eroi. Ci sono anche sindaci modesti e altri corresponsabili dei guasti urbanistici. Quel che è ingiusto fare è addebitare loro la responsabilità di un problema che ha natura sistemica. Che nessuno da solo poteva affrontare né può oggi riformulare. È su questo punto che si deve innestare la collaborazione fra il Commissario, che a sua volta non possiede le risposte, la Regione e i Comuni. Si cominci a parlarne approfonditamente. Poi vedremo cosa viene fuori.
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