IL TESSITORE DEL VENTO di Guido Tampieri | I ghiacciai in fiamme
Guido Tampieri - Quando si disputa di crisi climatica, lo sciocco guarda solo la grandine, il saggio guarda soprattutto i ghiacciai. Se non li vediamo oggi c’è da temere che non li vedremo mai più. Sempiterni, li chiamavamo un tempo. I ghiacciai e tante altre cose che concorrono all’armonia del Creato e dunque della nostra vita. Nei suoi aspetti materiali ed emozionali. Vedere l’ovvio comporta sforzi costanti. Le previsioni quotidiane del tempo forse non bastano a cogliere la natura profonda dei fenomeni. In questa Era che un esponente della Lega ha acutamente definito di «antropizzazione del genere umano» (sic!).
Salvini, Meloni, l’insostenibile ministro per l’ambiente Pichetto Fratin che ancora dice «non so se c’entra l’uomo», la folta schiera di ascari che dissemina mine sul sentiero della transizione, spacciando per sollecitudine economica e sociale la difesa degli interessi più logori. Eccoli qua, gli Apostoli della conservazione, venuti a recare la vecchia novella che ci porterà alla salvezza. Adesso pretendono anche di dare lezione di ecologia!
Non paghi di aver negato i segnali della natura, irriso i rapporti della scienza, mortificato le speranze di un’intera generazione. Accusata di voler impoverire il presente e confondere il futuro. Secondo lo schema ormai invalso che vuole i progetti reazionari sempre realistici e quelli innovatori sempre ideologici. Quando, testimonia Althusser, «l’ideologia è un’illusione ineluttabile in seno ad ogni formazione sociale». E si tratta in realtà di vedere quale tra di esse sia la più logica, plausibile, desiderabile, per noi e per i nostri nipoti.
E se davvero, prendendo a prestito le parole del filosofo Michael Morder, sia realistica una visione delle cose «come se il mondo e la nostra immagine di esso fossero ancora intatti. Come se le capacità rigenerative dell’ambiente fossero infinite, come se la finitudine fosse infinitamente resistente, pronta a rinascere dalle sue ceneri al pari della Fenice, con cui la confondiamo».
Mentre siamo in guerra per il petrolio e il gas, le terre fertili e l’acqua da bere, i metalli rari e i pesci del mare, le spoglie stesse della Terra. Cinquanta, cent’anni ancora a scrutare il deserto per paura dei tartari, chiusi dentro la fortezza dei nostri convincimenti ottocenteschi. Per quanto tempo vogliamo continuare così? Contendendo alle formiche rosse le ultime foreste. Dopo aver consumato tutto.
I responsabili di questa crisi epocale si trasformano in giudici e addebitano le difficoltà ai giovani che propugnano un cambio di paradigma. Come se agli agnelli sacrificali fosse dato decidere tempi e modi del loro destino. Nessuna conosce una formula capace di avviare a soluzione immediata i problemi del mondo. E però questi ragazzi fanno quello che voi non fate: si pongono domande, volgono lo sguardo nella direzione giusta. Non sono rassegnati all’assurdità come quei personaggi di Kafka imprigionati in labirinti di senso. Sanno che soltanto nel non rassegnarsi risiede la possibilità di salvezza.
L’idea balorda di uno sviluppo senza limiti non solo confligge con la limitatezza delle risorse ma non coincide nemmeno con la premessa-promessa di un benessere diffuso che l’accompagna.
Sono i numeri a raccontarci di una realtà mostruosa nella quale la ricchezza predata alla natura e alla fatica umana si concentra sempre più nelle mani di pochi. Senza produrre la ricaduta a cascata preconizzata da Reagan. Che, detto di passaggio, ha un posto d’onore nel pantheon della destra e non della sinistra. A differenza dell’ internazionalizzazione dell’economia del secolo scorso che fu accompagnata da politiche di riequilibrio territoriale e sociale che ne attutivano l’urto, la globalizzazione è diventata un groviglio di nodi valoriali che possono essere sciolti solo in un diverso rapporto fra economia, ecologia e giustizia.
Ci piace e ci dispiace assieme dover ricorrere ancora una volta alle parole profetiche di Papa Francesco. La questione è così grande, così conclamata che non dovrebbe esserci bisogno di scomodare il Santo Padre per smuoverci dalla nostra condizione di colpevole inerzia.
«Prendersi cura della Casa comune non può essere fatto senza una conversione del cuore e un cambiamento della visione antropologica alla base dell’economia e della politica. Non ci si può accontentare di semplici misure palliative e ambigui compromessi. Le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro».
È come se ci si rifiutasse di scorgere sotto il presente i lineamenti di ciò che ci riserva il futuro. Per orgoglio, per interesse, per viltà. Per analfabetismo scientifico. Spontaneo e indotto. L’idea di una catastrofe vicina fa paura e spinge a negare. L’abbiamo visto col Covid. Ma prima che dai negazionisti l’insidia viene dai situazionisti.
I Testa, i Rampini, che sanno bene, come diceva Aristotele, che la scienza è cosa diversa dalle opinioni, che conoscono le contraddizioni di un modello absoleto e non di meno contrastano incomprensibilmente il cambiamento. Perché non ci sono le condizioni per realizzarlo, perché chi lascia la via vecchia per la nuova
C’è sempre un perché per non fare. Di fronte allo smarrimento che ci assale nel soppesare la portata dell’impresa da compiere, dobbiamo rifuggire due sentimenti opposti. Uno è quello dell’impotenza, che condanna all’inazione. L’altro è quello dell’onnipotenza che condanna alla sconfitta. Perché trascura il fattore tempo, l’esistenza di un punto di non ritorno oltre il quale ogni cosa diventa più difficile. Il primo passo è riconoscere che il problema dipende da noi. Il secondo è comprendere l’urgenza di compierlo. Altrimenti non fai niente per prevenire. E nemmeno per mitigare. La strategia del Governo è, nell’ interpretazione più generosa, adattamento. Intempestivo, tardivo, generalmente inefficace. Più caldo, più energia per fronteggiarne le conseguenze, più fossili per produrla e di nuovo più caldo. Achille non raggiunge mai la tartaruga. Specie se, a differenza dell’eroe omerico, anziché il «pié veloce», ha piedi di piombo. Per ora le risposte si limitano alle ricette per mangiare il granchio blu.