Faenza, Giordano Sangiorgi, patron del Mei, analizza Sanremo 2025: «Dalle Etichette indipendenti 5 artisti su 29»

Il Meeting delle etichette indipendenti (Mei) di Faenza continua ad essere un termine di riferimento per il mondo musicale che non proviene dalle grandi major italiane, come dimostra la presenza in questa edizione di artisti che sono stati ospiti delle ultime edizione della manifestazione faentina. Giordano Sangiorgi, patron del Mei, spiega l’iniziale entusiasmo, che si è poi un po’ sgonfiato: «All’inizio per la sezione dei giovani ero soddisfatto perché aveva dato dato spazio alle Etichette indipendenti, in particolari a cantanti provenienti proprio dal Mei. Purtroppo dopo si è confermato uno strapotere delle major che Amedeus aveva calmierato. C’è una denuncia al Codacons perchè la maggior parte dei testi sono stati scritti da un pugno di autori».
Sangiorgi quali sono i cantanti in gara che vengono dal Mei?
«Lucio Corsi, artista scoperto dal Mei, premiato agli esordi, Brunori Sas, grande cantautore che ha esordito proprio a Faenza, poi Willy Peyote, Joan Thiele, ottima cantautrice. Il più grande resta Simone Cristicchi che ha fatto grandi successi contro il mainstream pop. Se contiamo 5 artisti su 29 non è male: certo personaggi come Emis Killa è meglio che non vengano. Non sono d’accordo, quando i soldi sono pubblici, di portare cantanti che parlano di pratiche sessiste e violente: va in contrasto con le battaglie in difesa delle donne».
Tra i giovani chi le è piaciuto?
«Erano tutti abbastanza bravi/e, con proposte di qualità indie-alternativa, tra le quattro che sono passate (Vale Lp e Lil Jolie, Maria Tomba, Andrea Settembre, Alex Wyse nda) sceglierei Vale Lp. Un caso molto sorprendente è stato negli anni precedenti Tananai, artista apparentemente leggero e pop, ma invece di livello. Una sicuramente che ha elementi di spessore culturale nell’ambito pop è Noemi, la Nada del pop».
Cosa manca a questo Sanremo?
«Peccato non aver fatto un recupero delle tradizioni regionali, la partecipazione dei Santa Balera lo scorso anno ha registrato 16 milioni di spettatori, un gruppo di diciassettenni che ha fatto 50 date in concerto l’altra estate. Io avrei inserito una o più realtà derivanti da ambiti regionali, che hanno una grande forza».
Proposte di rinnovamento per Sanremo?
«Sicuramente punterei a un maggiore pluralismo, l’85% delle produzioni nazionali locali sono escluse da Sanremo. Se si spacchettasse il Festival facendolo organizzare da fonti diverse, avremmo una maggiore rappresentazione di quello che c’è in Italia. Sarebbe bello per esempio aprire le vie e le piazze di Sanremo a tutte le realtà musicali italiane, in maniera gratuita, mentre adesso è tutto a pagamento».
Quali le mode di questo Sanremo?
«C’è tendenza fra i big del mainstream commerciale a muoversi tra trap, rap e pop urbano con utilizzo di apparecchiature elettroniche, molto autotune, un cantato spesso indistinguibile testi solipsti, esistenzialismo minimale, si parla della propria casetta, del proprio mondo piccolo, un intimismo un po’ retro, senza aperture sociali, che non racconta cosa accade nel nostro paese e nel mondo. Sono pochi i veri musicisti, il rischio è sempre più solo cantanti con basi».
Se potesse scegliere lei il nuovo Sanremo cosa farebbe?
«Festeggerei i 30 anni della musica indipendente: Sanremo dovrebbe ricordare questo. Al Mei in questi 30 anni sono passati Afterhouse, Subsonica, Timoria, Modena City Ramblers, Baustelle: io porterei all’Ariston i giovani epigoni per testimoniare il rinnovamento. Siamo soddisfatti di questi ultimi anni abbiamo premiato artisti come Colapesce, Ghali, i Maneskin, bisogna coltivare, cogliere, captare coloro che cercano di rinnovare la musica».
Chi potrebbe vincere questa edizione?
«Speriamo Giorgia, è pop, ma di qualità». (e.nen.)