Erasmus+, il valore aggiunto dello studio all’estero, storie da Faenza di Ottavia, Giovanni e Caterina

Emilia Romagna | 04 Aprile 2022 Lab 25
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Anna Balducci e Matilde Liuzzi - Dal 1987 il progetto Erasmus, poi Erasmus+, permette agli universitari di intraprendere un periodo di studi in un’università partner collocata in un paese straniero. Per molti giovani il progetto è un modo concreto e stimolante per cogliere le opportunità date dall’essere cittadini dell’Unione Europea, in primis la libertà di viaggiare. Gli scambi contribuiscono a creare curiosità verso l’altro e integrazione, a espandere la conoscenza delle lingue, nonché a fare incontrare stili di vita, modi di essere e culture diverse. Erasmus+ è un’occasione formativa unica, che con gli anni ha acquisito sempre più successo, al punto da diventare un elemento fondamentale per arricchire il proprio Cv.

I NUMERI
Come riportato dall’Ufficio stampa dell’Università di Bologna, le richieste per la mobilità internazionale sono in crescita: le studentesse e gli studenti dei quattro Campus della Romagna (Forlì, Cesena, Ravenna e Rimini) che hanno presentato la propria candidatura nel corrente anno accademico sono stati 3.546, mentre lo scorso anno soltanto 3.162. Il valore aggiunto necessario per affrontare un’esperienza tanto grande risiede nell’intraprendenza, nell’accortezza e in una forte autonomia. Per questo, nello studente in partenza, insieme al carico di entusiasmo, trova terreno fertile anche la paura di non esserne all’altezza. In occasione della recente uscita delle graduatorie presso l’Università di Bologna e della scoperta dei vincitori del bando, che tra qualche mese partiranno, ci siamo fatti raccontare come ci si sente a essere parte costituente della piccola ma agguerrita generazione Erasmus.

CATERINA BONTEMPI
Caterina Bontempi ha 21 anni e frequenta il secondo anno di Mediazione Linguistica Interculturale all’Università di Bologna. Studia inglese, tedesco e portoghese. Per lei e per il percorso di studi intrapreso, un’esperienza formativa e di vita in un paese straniero è fondamentale. «Ho sempre voluto vivere un’avventura all’estero – ci spiega - purtroppo a causa degli impegni scolastici ai tempi delle superiori, non sono mai riuscita ad intraprenderne una, se non qualche settimana di viaggio-studio per migliorare il mio livello di inglese». Per questo, a settembre si trasferirà a Londra per cinque mesi e studierà alla Ucl, la University College London, per dare libero sfogo alla sua passione per i viaggi, per le lingue e per consentire una notevole svolta in positivo alla sua conoscenza dell’inglese.
Al momento di decidere per quali città presentare la propria canditura, ha scelto mete molto ambite: «Per me è l’ultima occasione di partire, per questo non mi sono voluta accontentare. Ho scelto città dove ero sicura di volere andare, che mi piacessero e che fossero un vantaggio per il miglioramento della lingua». Londra, Monaco e Vienna le opzioni preferite da Caterina. Non ha poi esitato a scegliere la prima, l’inglese è la sua prima lingua e passare mesi nella capitale, totalmente sola, le consentirà di perfezionare alcune piccole lacune prima di catapultarsi nel mondo del lavoro. Di fianco all’entusiasmo e ai numerosi stimoli prima della partenza, non mancano le paure che una ragazza appena maggiorenne può provare prima di cimentarsi in questa complessa avventura. Londra è, infatti, una metropoli, ricca di storia e di cultura, da milioni di abitanti e sicuramente non è priva di pericoli. «Spero di essere all’altezza dell’esperienza, di riuscire ad essere autosufficiente e di farcela con le mie forze, senza i miei punti di riferimento. Sto gestendo tutto da sola, dalle cose più burocratiche, all’iscrizione all’università straniera, passando per la ricerca dell’alloggio e del volo. Mi auguro di riuscire ad ambientarmi velocemente, di non soffrire troppo lo shock culturale e la diversità dello stile di vita inglese».  

GIOVANNI GHETTI
Giovanni Ghetti, invece, coetaneo di Caterina, è già andato e tornato e ha avuto tempo di realizzare cosa gli ha lasciato l’esperienza di un semestre all’Università di Edimburgo. Lui studia Storia a Bologna e la prima cosa che ha notato è stata la diversità sostanziale dei rispettivi metodi di studio. Nel mondo anglosassone ci sono meno esami orali da sostenere e più elaborati scritti da produrre in autonomia. «È un metodo che mette a contatto lo studente con i documenti e stimola il pensiero critico, ma trascura abbastanza le conoscenze di base, che a mio avviso sono fondamentali». La scelta della destinazione, per lui, è stata cruciale. «L’Erasmus ha anche la cattiva fama di essere una scappatoia dagli studi, per divertirsi e non fare niente. Io, quindi, ho puntato a mete dove sapevo di poter trovare università molto valide, che mi arricchissero dal punto di vista accademico». Il suo soggiorno di quattro mesi è stato inizialmente molto travagliato: la prima settimana non aveva una casa e non sapeva dove vivere. Poi si è sistemato in una residenza insieme a sei ragazze cinesi. «Ho avuto la fortuna di conoscere bene non una, bensì due culture diverse dalla nostra: quella scozzese, molto accogliente, e anche quella cinese, una rarità e una sorpresa per me». Le prime difficoltà logistiche si sono aggiunte alla fatica della lingua diversa, l’inglese, ma in poco tempo Giovanni si è ambientato e ha cominciato a vivere il viaggio come una sfida personale. «Ho imparato a stare con me stesso. Porto dentro molti ricordi, i rapporti creati con le persone, le diverse culture che ho sperimentato e soprattutto la capacità di essere flessibile e adattarmi a situazioni destabilizzanti. Lì dicono: challenging».

OTTAVIA DAPPORTO
Ottavia Dapporto è in Erasmus adesso. La nostra sembra una videochiamata da mondi diversi: lei si trova a Las Palmas, sull’isola di Gran Canaria, al largo della costa nordafricana. «Eppure - racconta Ottavia - qui è pieno di studenti Erasmus. Gli abitanti del luogo sono abituati, perché un’isola è come un porto e chiunque è solo di passaggio. Però, proprio per questo, tendono a essere scontrosi con chi pretende di integrarsi alla loro comunità. Ognuno deve restare al suo posto, uno studente deve fare amicizia con gli studenti». La vicinanza con gli altri studenti, in compenso, la aiuta nel suo percorso di Medicina. «Sono qui da due mesi e tornerò in Italia tra altri quattro. L’università, qui, è molto rigida. I ritmi sono serrati, ci sono scadenze settimanali da rispettare, bisogna frequentare assiduamente». Sull’isola Ottavia ha la possibilità di osservare alcune specifiche malattie infettive, risultato degli incroci tra quelle europee e quelle africane. «Gli altri problemi, come il Covid e la guerra, da qui sembrano lontanissimi. Devo informarmi per conto mio». Nonostante la scontrosità degli abitanti, Ottavia trova rifugio e piacere nell’ambiente che la circonda. «Lo stile di vita è molto più a contatto con la natura. Le persone pianificano meno il loro tempo. Ho preso la residenza e ho molti sconti sui voli aerei, quindi, finita la sessione, ne approfitterò per visitare anche le isole vicine. Qui sono spiagge selvagge, boschi e cascate ed è un sogno per me, che sono sempre stata abituata a una vita urbana e caotica».
 
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