Coronavirus, il Procuratore capo Amato: «Infiltrazioni mafiose, in Romagna il porto di Ravenna è attenzionato»

Emilia Romagna | 28 Maggio 2020 Cronaca
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Marianna Carnoli - «Crescono le infiltrazioni mafiose con l’emergenza Covid? Il rischio non è quantificabile, ma esiste. L’Emilia-Romagna è una regione ricca, quindi appetibile. In Romagna il porto di Ravenna è molto attenzionato…».
Abbiamo fatto il punto di ciò che sta accadendo nella nostra regione con il Procuratore capo di Bologna nonchè dirigente della direzione distrettuale antimafia, Giuseppe Amato.
Come ogni crisi finanziaria, emergenza causata da catastrofi naturali, conflitti e rapidi cambiamenti geopolitici, anche la pandemia da Coronavirus sta avendo ed avrà un forte impatto su diversi aspetti di società, economia e politica. Se da un lato, a marzo 2020 si è registrata una generalizzata flessione di alcuni reati, soprattutto quelli predatori, se comparati allo stesso periodo del  2019 (da oltre 146 mila a circa 52 mila a livello nazionale), dall'altro il piccolo commercio, le pmi, costruzioni, bar e ristoranti con problemi di liquidità, potrebbero trovare nella mafia un’opportunità immediata con prestiti a tassi bassi e la compartecipazione all’attività stessa.
Procuratore, vista la crisi economica legata all'emergenza sanitaria, nelle scorse settimane il Ministero dell'Interno ha invitato le forze dell'ordine a vigilare sui settori più fragili e più colpiti dalle misure di contenimento per prevenire sia la corruzione che eventuali infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici e nella sanità. C'è davvero questo rischio nella nostra regione?
«Il rischio non è quantificabile. In questo caso è possibile vi sia perchè l'Emilia-Romagna è una regione ricca pertanto attira le infiltrazioni della criminalità organizzata. E' comunque una regione che in alcuni aspetti oggi, dopo l'esperienza Covid, pur essendo ricca, potrebbe vivere momenti di difficoltà: aziende, imprese ed imprenditori in crisi potrebbero attirare l'investimento illecito da parte della criminalità organizzata. E' un rischio genericamente possibile, ma non abbiamo oggi una casistica che possa consentirci di quantificarlo. Dopo la circolare del Ministero cui ha fatto seguito quella del capo della Polizia le forze dell'ordine si sono subito attivate. A Bologna e a Reggio Emilia ho fatto due incontri organizzati dalle rispettive prefetture e, pur essendo il nostro un compito repressivo e non preventivo, abbiamo discusso di questa tematica e avuto la conferma che la polizia giudiziaria si sta muovendo perchè ha ricevuto target da verificare quindi mi sento piuttosto tranquillo. Tra l'altro il nostro lavoro non si è fermato nonostante l'emergenza: abbiamo diverse indagini in corso sulle varie forme di criminalità organizzata ed associazioni in diversi contesti e le nostre investigazioni costituiscono esse stesse una sorta di monitoraggio "work in progress". Anche da queste, infatti,  potremmo trovare degli elementi spendibili su un eventuale trend che la criminalità organizzata volesse intraprendere».
Anche la Romagna ha un'economia viva pertanto è considerata un territorio a rischio da tenere monitorato, in primis il porto di Ravenna. Quest'ultimo potrebbe essere «utile» alla criminalità per infiltrarsi nell'economia sfruttando il momento di crisi legato al Covid?
«Il porto è ovviamente attenzionato. Nell'ultima riunione che abbiamo fatto a Bologna organizzata dalla commissione parlamentare antimafia fu proprio il prefetto di Ravenna a introdurre questo tema con un intervento che condivisi. Sottolineò la peculiarità del porto che come in tutti i settori dove c'è movimentazione di ricchezza può palesarsi l'interesse della criminalità organizzata che oggi, rispetto a ieri, come ci insegnano le ultime indagini non deve necessariamente accreditarsi con le forme tipiche ossia l'intimidazione, l'assoggettamento o l'omertà. In alcuni settori è sufficiente presentarsi con la disponibilità economica che, in un momento di crisi come questo, ti rende possibile quell'investimento che in altri tempi o in altri contesti sarebbe stato più difficoltoso da effettuare ed avrebbe imposto l'utilizzo di forme intimidatorie violente».
La Procura di Bologna ha istituito da anni un protocollo con le singole procure circondariali per tenere monitorati i diversi territori. Come vi coordinate?
«Il protocollo è attivo da anni, ma è stato rinnovato di recente. Riguarda sia la criminalità organizzata che i reati di terrorismo, di competenza della procura distrettuale. L'abbiamo basato sul principio che la procura distrettuale svolge l'indagine dove esiste già il fumus di un reato di criminalità organizzata quindi un reato aggravato dalla finalità di agevolazione dell'associazione mafiosa, ma è importante che vi sia un circuito informativo dalla procura distrettuale alle circondariali e viceversa che si basa sul concetto di reato spia. Nelle situazioni dove non vi è una competenza distrettuale perchè sono reati comuni, capita però che le persone coinvolte possano evocare il nostro interesse, pertanto ci vengono segnalati dalle procure circondariali o dalla polizia giudiziaria. In questo modo possiamo utilizzare l'informazione nell'ambito di attività che già abbiamo in piedi e magari possono venire illuminate dal reato spia. Capita, allora, che il caso diventi di nostra competenza con l'acquisizione del fascicolo che ci trasmette la procura circondariale. La novità che abbiamo introdotto nel protocollo è stata quella di rendere libera la casistica di reato spia: inizialmente avevamo individuato una ventina di reati che avevano assonanza rispetto ai fatti notoriamente commessi dalla criminalità organizzata, ma ho proposto una modifica al protocollo visto che qualunque reato può essere in qualche misura sintomatico di un coinvolgimento di criminalità organizzata o terrorismo. Ricordo un caso che mi riportò un collega del sud: il maltrattamento ai danni della moglie fu contestato come aggravato dalla finalità mafiosa perchè le violenze erano ispirate all'esigenza di impedire alla moglie di allontanarsi dal nucleo familiare per garantire l'unitarietà e la tutela dell'associazione che si fondava sulla struttura familiare. Pertanto ci è parso riduttivo avere solo un certo numero di reati spia e abbiamo modificato il protocollo».
 
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