Coronavirus, Busetti (direttore sanitario Ausl Romagna): "Emergenza passata, ma serve molta responsabilità dei cittadini"

Emilia Romagna | 10 Maggio 2020 Cronaca
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Manuel Poletti - «L’emergenza è passata, ma guai ad abbassare la guardia, il virus è ancora molto pericoloso. I cittadini devono mantenere comportamenti responsabili. Dal personale sanitario grande prova di abnegazione, ma non sono sorpreso. Da questa esperienza tanti insegnamenti, in Romagna abbiamo spazi ad hoc per nuovi posti di rianimazione».
Parla per la prima volta il numero due dell’Ausl Romagna, il direttore sanitario, ravennate, Stefano Busetti (il dg Tonini ancora non rilascia interviste). Lo spiraglio di luce si vede, dopo oltre due mesi di emergenza ai massimi livelli, ma dalle sue parole trapela ancora giustamente molta cautela, soprattutto rispetto ai comportamenti dei cittadini dopo le prime riaperture del 4 maggio.
Dottor Busetti, dopo oltre due mesi di emergenza Covid-19, i numeri nelle ultime settimane stanno sensibilmente migliorando. Qual’è la situazione degli ospedali romagnoli? Le terapie intensive stanno «respirando» meglio?
«Diciamo che in questa fase non siamo più nel momento dell’emergenza vera, quando i posti nelle terapie intensive, ma anche nei reparti Covid, si riempivano e facevamo fatica a trovarne di nuovi. E’ stato compiuto un grandissimo sforzo organizzativo per predisporre a tempo di record spazi adeguati per accogliere questi pazienti e per mettere gli operatori nelle condizioni di lavorare il più possibile in sicurezza. Non va dimenticato che in particolare a Rimini si era arrivati in una situazione nella quale si stava valutando la realizzazione di un ospedale da campo. Per fortuna il trend di ricoveri ha iniziato a diminuire, ma sarebbero bastati pochi altri giorni. In Romagna sono ancora circa 300 i pazienti ricoverati; questa patologia, inedita, porta a ricadute repentine e si è dimostrata molto difficile da controllare dal punto di vista epidemiologico. Perciò, voglio dirlo subito, non è assolutamente il momento di abbassare la guardia. Da nessuna parte. Perché lasciarsi andare ora, da parte della popolazione, a comportamenti a rischio, potrebbe mettere di nuovo in crisi la rete ospedaliera che è stata allo stremo ed è tutt’ora molto provata dal punto di vista degli spazi e soprattutto dell’impegno degli operatori».
A proposito di operatori, si aspettava una risposta così determinata, quasi «eroica», da parte del personale sanitario?
«Sinceramente sì. Anche io sono medico e quindi conosco l’abnegazione dei miei colleghi, così come di tutto il personale sanitario. Se scegli di fare un certo lavoro, di dedicarti agli altri, sai che intraprendi una missione e che nei momenti difficili è richiesto di più. Quindi non posso dire di essermi meravigliato, bensì di aver vissuto con partecipazione questo sforzo immane di uomini e donne straordinari, che hanno lavorato e rischiato tanto e che hanno salvato tante vite. Aggiungo che l’Azienda, per parte sua, ha cercato di supportare il loro sforzo effettuando centinaia di assunzioni di personale medico ed assistenziale. Un ringraziamento, infine, ai ‘medici volontari’: personale in pensione che ha deciso di tornare ad aiutare, sia della nostra azienda sia partecipando a bandi nazionali, come i medici della Protezione civile che sono arrivati anche in Romagna».
Preoccupa molto anche in Romagna la situazione nelle Rsa per anziani. Qual’è la situazione? Ci sono zone più a rischio di altre?
«Le Rsa rappresentano ambienti a maggior rischio per le caratteristiche delle persone che ospitano, e cioè anziane spesso già portatrici di patologie. Non vi sono ‘zone’ più a rischio di altre, ma è chiaro che nei territori dove il contagio si è maggiormente diffuso risulta purtroppo più facile e più probabile che colpisca anche nelle Rsa. Voglio però qui chiarire bene alcuni aspetti. Già da prima dell’insorgere dei primi casi in Romagna, l’Azienda aveva preso contatto con le strutture con indicazioni e formazione rispetto alla limitazione del rischio, che sono state via via implementate con l’evolversi della situazione e con le ordinanze degli enti sovraordinati. All’insorgere dei primi casi siamo intervenuti su molteplici linee d’azione. In primo luogo abbiamo effettuato tamponi a ospiti e personale. Contestualmente abbiamo valutato caso per caso, a seconda delle situazioni logistiche, se i pazienti positivi potevano rimanere in struttura, appositamente isolati, o si rendeva necessario il trasferimento in ospedale. Quest’ultima scelta è stata effettuata ad esempio per i pazienti della Rsa di Russi. Laddove invece si è scelta la prima via, abbiamo realizzato delle ‘aree Covid’ in cui i pazienti vengono seguiti in maniera identica rispetto a quanto si farebbe in ospedale, da apposite equipe di medici ed infermieri e con lo stesso trattamento ospedaliero anche rispetto a farmaci e ossigeno. Abbiamo applicato ovviamente tutti i protocolli previsti dalla Regione, talvolta anche anticipandoli. Quindi abbiamo effettuato i test sierologici anche sul personale delle Cra, oltre che sui nostri operatori».
Lunedì 4 è cominciata la «Fase 2», il professor Ricciardi (Oms) ha sottolineato che «siamo ancora in bilico». Che consigli si sente di dare a cittadini e datori di lavoro?

«Come dicono tanti, e come ho detto anche io prima, in questa fase è fondamentale non abbassare la guardia. Ci giochiamo molto e dobbiamo stare attenti. Anche perché se le cose andranno bene si potrà ulteriormente procedere verso riaperture graduali. Il consiglio dunque è quello di rispettare meticolosamente le ordinanze in atto e quelle che verranno via via emanate. Le parole d’ordine, come detto anche dal commissario ad acta della Regione Venturi, sono rispetto e responsabilità».
Sono ancora necessari nuovi «Covid hospital» in Romagna? Se si, dove? Che importanza hanno invece le Usca?
«La realizzazione dei cosiddetti ‘Covid hospital’ è stata una modalità molto valida per affrontare la situazione e il suo rapidissimo mutarsi, soprattutto nelle prime fasi. L’Azienda, anche attraverso la loro attivazione, ha dimostrato una forte capacità e velocità di adattamento e di intervento per rispondere alle urgenze. In questa fase stiamo, con molta gradualità, ripristinando servizi che erano stati riconvertiti per il Covid, ma saremo pronti in caso di necessità, a tornare indietro. Aggiungo che è stata fondamentale anche la medicina del territorio: siamo stati tra le prime realtà a mettere in campo le Usca, cioè medici ed operatori che, in coordinamento coi medici di famiglia, seguono a domicilio i pazienti che possono essere gestiti in tale regime, con gli stessi farmaci utilizzati in ospedale. In Romagna sono oltre mille i pazienti seguiti a domicilio con la clorochina, un farmaco che sta dando buoni risultati, soprattutto se assunto tempestivamente. Insomma siamo ‘andati a cercare’ il virus per combatterlo quando ancora ‘è piccolo’, in modo da limitare così gli accessi in ospedale».
Più in generale comunque il sistema sanitario pubblico, rispetto ad altri paesi, è risultato decisivo in questi due mesi anche in Emilia-Romagna. L’insegnamento è «stop ai tagli e più investimenti»? In Romagna cosa serve di urgente?
«Naturalmente questa esperienza, ribadisco, non ancora chiusa, ci deve insegnare molto. I tavoli di lavoro a livello regionale stanno valutando protocolli, spazi e progetti da dedicare per essere ancora più pronti ad una, eventuale, nuova emergenza. Ad esempio in Romagna sono previsti posti ad hoc di rianimazione».
 
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