Dal caro carburante all'impennata dei costi per i fertilizzanti, il conflitto tocca duramente anche il settore dell'ortofrutta. La nuova semina è alle porte e qualcuno potrebbe abbandonare le vecchie produzioni e puntare su mais, sorgo, girasole e soia: prodotti, oggi, ben pagati. «Questo però comprometterebbe intere filiere di prodotti strategici per l'economia nazionale» commenta Davide Vernocchi, presidente di Apo Conerpo, l'organizzazione di produttori ortofrutticoli più grande d'Europa con 4000 soci in Emilia-Romagna, la maggioranza dei quali si trova proprio nel ravennate.
«L’impatto della guerra fra Russia e Ucraina sulla produzione ortofrutticola è considerevole – spiega Vernocchi -: il primo, macroscopico, effetto è quello relativo al costo dei carburanti e dell’energia in generale al quale si somma un’impennata dei prezzi dei fertilizzanti e di tutti i prodotti plastici usati lungo la filiera produttiva (imballi, rivestimenti, coperture, reti). L’incremento dei costi, se prendiamo come esempio il pomodoro da industria, è di oltre 1200 euro per ettaro e la situazione non è dissimile per i frutticultori né per chi produce orticole e legumi. A questo incremento dei costi, purtroppo, non sta corrispondendo un adeguamento dei prezzi corrisposti ai produttori né un’equa distribuzione dei rincari lungo la filiera».
La cinghia è sempre più tirata e qualcuno pensa di cambiare la rotta delle proprie colture. «In questo quadro si innesta quindi un rischio ulterior – aggiunge il presidente -: molti produttori potrebbero infatti scegliere di abbandonare le proprie produzioni tradizionali e puntare su altri prodotti come mais, sorgo, girasole e soia, che andranno seminati a breve e che erano, fino a oggi, oggetto di importanti flussi in ingresso da Russia, Ucraina e Ungheria. Tali coltivazioni potranno da ora in poi risultare particolarmente interessanti per gli alti prezzi raggiunti: solo nell’ultima settimana il prezzo del mais nelle diverse borse merci è cresciuto del 25%. Questo però comprometterebbe intere filiere di prodotti, come il pomodoro da industria ma anche piselli, fagioli e ceci, che sono strategici per l’economia nazionale e che rappresentano un patrimonio dell’agroalimentare italiano».