Giovanni Fenati, l’uomo dei miraggi, un pezzo di storia della musica romagnola del ‘900 da riscoprire

Bassa Romagna | 01 Marzo 2022 Cultura
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Federico Savini
«La Romagna è avara nel concedere spazi a chi musicalmente si vuole differenziare dagli altri». Questa frase, il collezionista e storico faentino Gianni Siroli l’ha scritta qualche anno fa a proposito di Vittorio Borghesi, uno dei pochi giganti del liscio che ebbe il coraggio di intraprendere una direzione propria per la sua musica, differenziandosi dal canone di Casadei. E si potrebbe dire lo stesso - o forse anche di più - di Giovanni Fenati, che moriva a Fidenza più di quarant’anni fa (precisamente il 17 novembre dell’81), ma era nato a Bagnacavallo il 19 gennaio del 1925. Con il liscio qualche cosa aveva avuto a che fare pure lui, ma più che altro Giovanni Fenati è stato uno dei più formidabili talenti dietro le quinte della musica italiana fra gli anni ’50, ’60 e ‘70. E oggi langue un po’ troppo dimenticato. Specie nella sua terra natìa.
Tanto per cominciare, il bagnacavallese Giovanni era figlio d’arte; di Anselmo Fenati, direttore di banda ma soprattutto pianista della prima orchestra Casadei alla fine degli anni ’20, uno che insomma di musica da ballo se ne intendeva abbastanza da fornire solidi rudimenti al figlio, che si diplomò al conservatorio di Bologna diventando un richiesto jazzista in quella città, dove darà anche vita alla prima orchestra col suo nome. La sua fama di musicista scoppiettante era tale che nel Dopoguerra il suo nome circolò nei cartelloni di tutti i locali notturni italiani più in voga, tanto che Radio Rai ne trasmise spesso i concerti, in diretta. Al che, l’instancabile Fenati venne pure coinvolto nella programmazione delle rete nazionale; e secondo quanto dicono gli addetti ai lavori fu tra i primi, nell’Italia di metà anni ’50, a lanciare il suono a rotta di collo dell’ormonale rock’n’roll americano sulle frequenze della radio di Stato.
Anche in questa fase di successo crescente, quando accompagnava dal vivo e arrangiava canzoni per i cantanti più in voga del periodo (parliamo della fase pre-sanremese), Giovanni Fenati non recise mai i legami con la Romagna, dove si consumava la «guerra» tra il liscio e il boogie (e lo swing). In quel periodo, le orchestre suonavano tanto i balli «antichi» quanto quelli americani più «moderni», a tutto vantaggio della qualità degli strumentisti, messi alla prova da repertori sterminati e notti danzanti interminabili. Tra le «maestranze» romagnole che Fenati volle con sé spiccano non a caso due clarinettisti, maestri dello strumento-icona del liscio romagnolo. Dal 1951 al 1959 militò nell’orchestra Fenati - impegnato quindi sul proscenio nazionale - il faentino Giovanni Pasi, reduce da un’esperienza giovanile con quel Castellina dal quale tornò alla fine del decennio, per fondare insieme al fisarmonicista una delle orchestre più importanti della musica da ballo non solo nostrana. Nei primi anni ’60, invece, al fianco del pianista e direttore bagnacavallese suonò il clarino Orfeo Gulmanelli, che qualche anno dopo sarebbe diventato il solista di punta dell’orchestra dell’altro grande fisarmonicista di Romagna: Vittorio Borghesi. 
Sul finire degli anni ’50, l’orchestra Fenati si lega anche discograficamente in particolare alla cantante Germana Caroli, ma nel ’58 esce a nome del pianista l’album strumentale «Dancing», un piccolo campionario di esoticherie danzanti in linea con coevi esperimenti americani e in anticipo sulla moda della lounge-music di cui Fenati fu un pioniere nazionale. Il passaggio dagli anni ’50 ai ’60, quando la musica giovanile prende il sopravvento e gli organici dei gruppi da ballo si assottigliano, non lo trova affatto impreparato, proprio sul versante della cosiddetta «library music», ossia la musica che i compositori e gli arrangiatori dell’epoca realizzavano «su suggestione», per poi utilizzarla in documentari, film e prodotti televisivi. Ed è in questo filone - apprezzatissimo all’estero e rilanciato dalla moda della cocktail-music a fine anni ’90 - che si è fatto le ossa anche uno come Ennio Morricone, per capirci. E insieme a lui maestri come Piero Piccioni, Armando Trovajoli e Piero Umiliani. Un brano di quest’ultimo, Miss Harlem, Fenati l’aveva peraltro già inciso nel suo disco del ’58, a riprova di quanto fosse «sul pezzo» in anni di grandi mutazioni nei gusti del pubblico (è lo stesso anno dell’epocale Nel blu dipinto di blu di Modugno). 
A fine anni ’60 la produzione discografica dell’orchestra Fenati è intensa e instradata sul filone «library», con album esterofili come «Cocktail music» del ’69, l’assunzione dello pseudonimo Joe Fenati nel ’74 e una manciata di lp su etichetta Ariston con uno pseudonimo ancora più indicativo: Mirageman, l’uomo dei miraggi! Con il suo sound jazz-funk ai confini con la psichedelia (quando con lui suonava anche un giovane Tullio De Piscopo…), Fenati si concesse album con titoli come «Thrilling» e «Thunder And Lightning», fra il ’70 e il ’72. Poi toccò alla disco-music, che Fenati prese come una sfida e soprattutto un divertimento, vedi l’lp «Disco Symphony» del ’78, tutto composto da riarrangiamenti di brani di musica classica, con la Sheherazade di Rimsky-Korsakov che secondo la leggenda lo avrebbe addirittura portato a fare capolino nelle classifiche di Billboard.
Proprio dopo quel successo, e in procinto di realizzare dischi con un nuovo contratto internazionale, Fe nati morì a soli 56 anni, in un incidente stradale. Il suo ultimo 45 giri è proprio del 1981, accreditato alla «Grande Orchestra Ritmo-Sinfonica» di Giovanni Fenati e contenente «cover» di Puccini e Gershwin. 
Un romagnolo non smette mai di ballare, insomma. E probabilmente neanche di giocare. Sarebbe ora di riscoprirlo e ristamparlo come merita.
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