«Non bastano i mutui garantiti. Servono sgravi fiscali e finanziamenti per l'innovazione, che nel nostro settore equivale alla ricerca su materiali, design e nuovi modelli - spiega Giordano Tabanelli, imprenditore fusignanese e responsabile Federmoda della Cna di Ravenna -. Perché la batosta dovuta al Covid potrebbe essere fatale per il Made in Italy».
Il distretto calzaturiero della Bassa Romagna, che solo sette anni fa, tra Bagnacavallo e Fusignano, contava circa 500 dipendenti, oggi ne annovera più o meno la metà. E le imprese, oramai, si contano sulle dita di una mano. Non mollano aziende storiche come il calzaturificio Emanuela o il gruppo Silver 1, che pochi anni fa ha rilevato il marchio Valleverde, «ma l'andamento negativo che caratterizza questo settore da 20 anni - sottolinea Tabanelli, imprenditore fusignanese e responsabile Federmoda della Cna di Ravenna - con la chiusura dovuta al Covid ha ricevuto una brusca accelerata. Anche a San Mauro Pascoli, altro polo calzaturiero di riferimento in Romagna, non se la mandano tanto meglio». Brucia ancora ricordare l'epilogo della Eiffell di Fusignano, che ha chiuso i battenti due anni fa, sulla soglia del mezzo secolo di attività.
I fattori che hanno pesato sul settore sono diversi. Imprese di piccole e medie dimensioni che, nonostante la produzione di qualità, faticano a riposizionarsi sul mercato globale, segnato da crisi cicliche nei consumi e attori sempre più agguerriti che preferiscono prezzi stracciati alle produzioni di livello. Senza dimenticare i costi del lavoro, che nel nostro Paese giocano un ruolo importante. «Con questo 'colpo di grazia' - aggiunge Tabanelli - il settore calzaturiero italiano rischia di sciogliersi come neve al sole. Oltre alla Cina, che rappresenta un mondo a parte e produce di tutto, chi preferisce prodotti di qualità rischia di non trovare più il Tricolore nei dei negozi. Il solo marchio 'Made in Italy' assicura alla produzione nazionale di tessile e calzature un plusvalore del 20% rispetto agli altri produttori stranieri. Ma oramai a 'farci le scarpe', in Europa, sono i paesi dell'est e la Spagna». Poi, complice il virus, sono venute a mancare importanti vetrine per i produttori di calzature lungo lo Stivale, dalla fiera sul Garda agli appuntamenti milanesi. Tradotto: meno visibilità e meno scambi commerciali.
Così, chi resiste, inizia ad allungare il collo sempre di più oltreconfine, nella speranza di allargare gli orizzonti commerciali, anche se le produzioni sono calate e le collezioni attese per l'autunno-inverno 2020/21 potrebbero somigliare terribilmente a quelle dello scorso anno. Insomma, le macchine faticano a ripartire. «Fosse così – rileva Tabanelli -, sarebbe il segno di una bella batosta e molti finirebbero per chiudere. Sarebbe un segnale molto negativo per l'occupazione femminile, che costituisce il 90% della forza lavoro che sostiene il settore».
Difficile trovare una ricetta per venirne fuori. Non bastano i mutui Covid, che permettono di ristrutturare i debiti aziendali «ma, alla fine dei conti, vanno sempre pagati - rileva il responsabile Cna -. Servono sgravi importanti e finanziamenti a fondo perduto per sostenere l'innovazione del nostro settore, fatto di ricerca nei materiali, design e nuovi modelli». Col Recovery Fund arriveranno molti milioni di euro a sostegno dell'economia italiana «ed è bene che il Governo ci ascolti – chiude Tabanelli -, altrimenti il Made in Italy rischia di chiudere».
Giulio Di Ticco, Confartigianato Moda Ravenna
«I problemi esistevano prima del lockdown,
ora web e meno tasse per tornare competitivi»
«I problemi esistevano già prima del lockdown – spiega Giulio Di Ticco, Confartigianato Moda Ravenna – e sono di diversa natura: dall'aumento del costo del lavoro alla crisi dei consumi». E quando scarseggiano i soldi nel portafogli, gli acquisti virano inevitabilmente sulle soluzioni low cost, spesso a scapito della qualità. Poi ci sono la concorrenza straniera, dalla Cina agli altri paesi europei che possono contare su condizioni più favorevoli, e il commercio su internet che, almeno all'inizio, ha colto impreparati molti imprenditori.
Poi è arrivato il rigore imposto dal Covid-19, che ha segnato lo spartiacque. «I più lungimiranti – aggiunge il responsabile Confartigianato – hanno convertito parte della produzione per mascherine e altri prodotti di questo tipo. E stiamo lavorando assieme alle imprese per sviluppare l'e-commerce, cogliere questa opportunità per raggiungere clienti sempre più abituati a comprare sul web, senza passare dai negozi tradizionali».
Il Made in Italy da sempre si contraddistingue per l'elevata manifattura dei prodotti ed «è un marchio che ha ancora grande attrattività e su cui occorre continuare a spingere - rileva Di Ticco -. Le istituzioni, tuttavia, devono fare la loro parte per semplificare le regole, ridurre le tasse e rendere la produzione italiana concorrenziale rispetto a quella degli altri paesi, a partire da quelli europei».
A cura di Samuele Staffa