Bassa Romagna, orizzonte 2022, Valentina Brini (giornalista a Bruxelles): «L’UE dovrà dimostrare di avere un futuro»

Bassa Romagna | 06 Dicembre 2021 Cronaca
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«Ce lo siamo sentiti dire tante volte e corro il rischio di essere scontata: ma i prossimi mesi saranno cruciali. Il 2022 è l’anno in cui l’Unione Europea dovrà dimostrare di avere un futuro». Valentina Brini, giovane giornalista lughese che da cinque anni segue le politiche del Vecchio continente da Bruxelles per conto dell’Ansa, è «cautamente ottimista».
Come viene visto il nostro Paese, in questo tormentato periodo, dal cuore dell’Europa?
«In questo momento c’è un grande entusiasmo, un po’ a sorpresa, nei confronti dell’Italia: una ventata di ottimismo arrivata in concomitanza all’insediamento di Mario Draghi al governo. Siamo ancora nel bel mezzo della pandemia, ma passa l’immagine di una Italia, nonostante sia stata la più colpita nei primi mesi, in grado di gestire la situazione meglio di altri e c’è fiducia anche sulla possibilità di investire al meglio i fondi del Recovery Fund che inizieranno ad arrivare tra febbraio e marzo».    
L’Unione Europea, secondo lei, uscirà intatta dalla pandemia? O c’è il rischio che vada perso qualche pezzo per strada?
«La pandemia non ha fatto altro che evidenziare quanto sia complicato, per ogni Paese, andare avanti da solo per la propria strada. Chi ha provato a farlo, è stato spesso costretto a tornare sui propri passi. Ora siamo alle prese con la nuova variante e si è discusso di nuove restrizioni. La Commissione europea non ha apprezzato molto le istanze di Italia e Portogallo, ad esempio, che per prime hanno introdotto l’obbligo di tampone per tutti i viaggiatori di rientro dall’estero, anche se vaccinati. Tuttavia, il confronto tra i capi di Stato e di governo a Bruxelles ha permesso di non mettere a rischio l’integrità del mercato interno. Si tratta solo di un esempio di quanto sia importante discutere delle politiche in seno all’Unione. Esistono però differenze nell’interpretazione dei valori fondanti dei singoli Paesi, un tema che, Covid-19 a parte, potrebbe aprire nuovi fronti. Con la Polonia e l’Ungheria, per esempio, si è allargata sempre di più la faglia sul rispetto dello stato di diritto e i principi cardine fissati dai Trattati Ue. Presto poi si discuterà della riforma del Patto europeo di stabilità: questo sarà un importante banco di prova. Ma negli ultimi due anni è emersa la necessità di abbandonare l’austerità e seguire politiche comuni rivolte alla crescita».  
Tra i paesi europei, quali sono, secondo lei, quelli che hanno faticato di più ad integrarsi nel contesto europeo nel corso del 2021?
«I quattro paesi del Gruppo di Visegrad: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia. Poi c’è il premier sloveno che, nonostante stia concludendo proprio in questi giorni il proprio turno alla presidenza del Consiglio Ue, ha spesso uscite molto forti nei confronti delle istituzioni comunitarie, a partire dalla Commissione. Non sono i Paesi del blocco nord, da sempre critici sulla gestione dei nodi economici, a mettere in discussione la tenuta dei valori europei. In questo caso, le forze populiste che animano il dibattito politico dei singoli Stati sono in ribasso. Manca, piuttosto, un collante con i paesi dell’Est. Basti pensare alle politiche sull’accoglienza dei migranti».   
In questi anni ha seguito da vicino l’operato di Angela Merkel. Cosa lascia la cancelliera tedesca alla politica europea?
«È stata definita dai colleghi una ‘macchina per accordi’. Anche quando sembrava impossibile raggiungere una sintesi, lei non si è mai tirata indietro: non è mai tornata a Berlino senza aver gettato le basi di un buon compromesso. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, l’ha saluta dicendo che ‘L’Europa senza Merkel è come Roma senza il Vaticano’». (s.sta.)
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