Dei 66 medici attivi nella Bassa Romagna, 53 potrebbero andare in pensione entro due anni. Ne resterebbero solo 13 in servizio. E i nuovi arrivi non compenseranno le partenze. Il tempo è poco e bisogna agire per evitare il default del sistema.
I medici di base, ricordiamolo, sono liberi professionisti che collaborano con l'Ausl in base di una convenzione ferma al 2005. Verranno pubblicati in ottobre sulla gazzetta ufficiale i due bandi regionali per il corso di formazione specifica in medicina generale 2020-2023. Si parla di 173 i posti complessivi. Ma servono, appunto, tre anni per arrivare alla fine della specializzazione.
Il tempo è poco e non basta limare i numeri. Bisogna rivedere tutto. Così, per trovare soluzioni innovative, nei prossimi giorni verrà ufficializzato il Tavolo tra Ausl ed enti locali per affrontare la situazione e cercare una soluzione per l'emergenza in Bassa Romagna. (s.sta.)
La situazione è nota e i nodi stanno venendo al pettine. «Quella dei medici è una delle categorie con una età più avanzata al lavoro – spiega Mauro Marabini, direttore delle Cure primarie della provincia di Ravenna -. Questa situazione è frutto del boom dei laureati in medicina negli anni '70 e '80. E oggi vanno in pensione tutti assieme».
La legge prevede un limite massimo di 70 anni: raggiunta questa età il pensionamento è obbligatorio. La regola, invece, prevede la possibilità di chiudere la carriera al compimento del 68 anno di età, ma è possibile raggiungere lo stesso risultato con 62 anni di età e 35 di servizio. «Ora la gobba demografica ha raggiunto il suo apice, ma quest'anno va aggiunto l'impatto drammatico del Coronavirus- rileva Marabini -: i medici di famiglia, da sempre abituati al contatto diretto con gli assistiti, hanno incontrato molte difficoltà nel loro lavoro. A questo va associato il fatto che che si tratta di persone di una certa età: e il virus, lo sappiamo, ha toccato duramente soprattutto i più anziani: nel personale sanitario, purtroppo, sono state registrate molte perdite».
I medici intenzionati ad andare in pensione lo comunicano all'Ausl solo pochi giorni prima: un modo di fare che crea un certo scompiglio tra i pazienti. «Se dessero un ampio preavviso – continua Marabini -, finirebbero per perdere molti assistiti e, di conseguenza, perderebbero una parte consistente del proprio stipendio».
La situazione della Bassa Romagna è oramai piuttosto critica. «Nel distretto di Lugo avevamo, all'inizio dell'anno, 66 medici di base – sottolinea Marabini -. E se tutti coloro che hanno maturato i requisiti per andare in pensione ne avessero fatto richiesta, oggi avremmo in servizio 23 o 24 medici. Una situazione inconcepibile. Per questo stiamo mettendo in campo soluzioni mai adottate in passato. Nell'immediato, dovremo adottare provvedimenti straordinari e allo stesso tempo occorrerà sostenere lo sviluppo di infermieri e farmacisti».
All'Asl, tra bandi e formalità, occorre circa un anno per arrivare ad individuare il sostituto. E non tutti i medici sono disposti a prendere servizio ovunque: le frazioni sono, solitamente, le meno gettonate. «Per tornare a un certo equilibrio occorreranno almeno due o tre anni – commenta il dirigente -. Arriveranno medici giovanissimi, con meno di 30 anni di età, nati con internet e più propensi a collaborare tra loro. La medicina di base cambierà completamente perché cambieranno le persone che abbiamo di fronte». (s.manz. s.sta.)
«Se puntassimo solo a sostituire i medici che se ne vanno con altri medici, avremmo probabilmente perso in partenza – sottolinea Luca Piovaccari, sindaco referente per l'Unione -. Gli strumenti a nostra disposizione (comuni e Unione) sono pochi. Ma il problema esiste e va affrontato. I pazienti meritano un servizio più vicino ed efficiente. I medici di base, invece, devono essere sgravati di alcuni compiti».
Recenti studi hanno dimostrato che i medici di base prescrivono nel 40% di casi delle ricette ripetitive. Spesso si tratta di pazienti cronici che, salvo imprevisti, vanno trattati con gli stessi farmaci di sempre. «L'emergenza Covid ha portato ad un cambio di passo: nei casi in cui non sia necessaria una visita, ma sia sufficiente la semplice richiesta telefonica da parte del paziente, le ricette vengono spedite direttamente in farmacia». Più tempo a disposizione del medico, uno spostamento in meno per l'utente. «Da queste innovazioni non si torna più indietro – dice Piovaccari -. Pensiamo alle possibilità della telemedicina: per il controllo di alcuni parametri base, i pazienti dotati di semplici apparecchiature potranno inviare i dati al medico senza muoversi da casa. Pensiamo alle potenzialità del fascicolo elettronico e della cartella sanitaria elettronica: ora la digitalizzazione può portare a disparità, ma rappresenta un'opportunità».
Si parla spesso di Case della salute proprio in questi giorni in cui sono partiti i lavori di Lugo sud, nel quartiere Stuoie. A differenza di altre realtà più sviluppate, in città ogni medico ha il suo ambulatorio. «Il nostro compito è quello di mettere a disposizione dei medici delle strutture all'altezza: se alcuni dottori rifiutano l'incarico in frazioni più defilate, sono sicuramente più attirati a lavorare in Case della salute che funzionano. Qui l'assistito troverà un infermiere e lo sportello cup». Argomenti, questi, che incrociano anche il tema dei trasporti e dei collegamenti verso i servizi.
«E penso alle 'farmacie dei servizi': in queste strutture, distribuite capillarmente sul territorio, possono essere erogati alcune prestazioni più semplici: dal controllo di alcuni parametri al Farmacup alla distribuzione delle mascherine. Dove vi siano locali adatti, si potrebbe pianificare di ospitare qualche visita specialistica. Sono tutte combinazioni da costruire – chiude Piovaccari -: la visita dello specialista non può essere sostituita, ma altre prestazioni possono essere meglio distribuite». (s.sta.)