Bassa Romagna, Emilio Dalmonte (Commissione UE): «Europa in prima linea nella battaglia al Covid»

Bassa Romagna | 31 Dicembre 2020 Cronaca
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Samuele Staffa
E’ facile puntare il dito contro l’Europa, ma «questa è stata forse la prima occasione in cui gli stati membri hanno iniziato ad aprire gli occhi sulla necessità di lavorare assieme» spiega il cotignolese Emilio Dalmonte, oggi a Bruxelles alle dipendenze della Commissione Europea. 
Pensa che l’Unione Europea abbia messo in campo una risposta all’altezza per contrastare il Covid-19? 
«L’attenzione è sempre stata alta fin di primi giorni ed è facile reperire su internet l’elenco delle iniziative adottate dall’Ue nel 2020: il 28 febbraio si è iniziato con gli appalti congiunti per l’acquisto dei dispositivi di protezione individuale come le mascherine; in marzo si è provveduto a fare scorte strategiche di dispositivi medici come i ventilatori. La Commissione Europea presieduta da Ursula Von Der Linden, che è un medico, in questi mesi ha sottoscritto sei accordi di ‘acquisto anticipato’ con diverse case farmaceutiche: un consistente acconto economico per l’approvvigionamento, quando saranno pronti, dei vaccini. Poi la Banca centrale degli Investimenti in maggio ha finanziato la tedesca BioNTech con 100milioni di euro per sostenere la ricerca sul vaccino che in questi giorni viene distribuito anche in Italia. Senza dimenticare che in maggio sono stati raccolti 16 miliardi di euro per garantire l’accesso universale alla diagnosi, alle cure mediche e ai vaccini contro il coronavirus. Purtroppo, però, forse complici i media e i messaggi della politica, le persone non adottano una visione di insieme e sono più preoccupate da quello che succede nel proprio orticello. Si pensa prima alla possibilità di prendere un caffè nella cittadina vicina e non si considerano gli elementi che realmente incidono nella lotta al Covid».
L’Italia dovrebbe ricevere ingenti risorse dall’UE per favorire la tanto attesa ripartenza. Secondo lei, riusciremo a gestire questi fondi?
«E’ la domanda da 209miliardi di euro. Questa è un’operazione di fiducia.   L’Unione mette a disposizione, tra finanziamenti a fondo perduto, prestiti a tassi irrisori e garanzie sui prestiti fatti dalle banche alle imprese italiane un’ampia gamma di risorse. Ma non ho mai sentito un politico dire che i soldi per la cassa integrazione o i ristori per i lavoratori autonomi siano arrivati grazie ai finanziamenti europei. Le possibilità che l’Italia investa queste risorse in modo costruttivo ci sono tutte: l’importante è che vengano utilizzate nell’interesse del Paese, lasciando da parte personalismi, interessi di bottega e di partito».
Tra poche settimane si dovrebbe consumare il divorzio tra Gran Bretagna ed Unione Europea. Chi ci perderà?
«Brexit è un stupidaggine che costerà cara alla Gran Bretagna, ma ci perderanno tutti, anche l’Unione Europea. Questa situazione mi ricorda quando un grande campione di calcio decide di abbandonare il club in cui gioca: non è semplice trovare una nuova squadra e il vecchio club, anche senza il suo talento, continuerà a giocare. Così la Gran Bretagna dovrà stringere nuovi accordi commerciali con il resto del mondo: un passaggio affatto scontato. I motivi che hanno portato a Brexit sono due. Da una parte la tendenza dell’élite conservatrice britannica, che controlla molti media, a spingere per un governo leggero, per un capitalismo con poche regole. Alcuni proponevano una sorta di isola off-shore e parlavano di ‘Singapore sul Tamigi’ per sottolineare la preponderanza della finanza sull’economia reale. Poi capita che imprenditori come Dyson, fautore della prima ora di Brexit, trasferisca la sede della sua impresa a Singapore. Singapore ha da poco stretto un accordo commerciale con l’Unione europea. Così Dyson, paradossalmente, per esportare un aspirapolvere in Europa farà prima a passare da Singapore che dal suo Paese. Dall’altra parte, l’atteggiamento di strafottenza è percolato dall’alto a tutta la popolazione. Ancora si intravede l’orgoglio per un impero che appartiene al passato, misto alle campagne mediatiche che da 40 anni sostengono che i problemi arrivino da Bruxelles o dagli altri paesi. Ora paghiamo questa situazione. Basta guardare le file dei camion a Dover, l’Eurostar che collega Londra a Parigi e Bruxelles o i traghetti per contare più di 30milioni di persone che ogni anno attraversano la Manica: che senso ha reintrodurre controlli doganali?».
Tra poche settimane John Biden si insedierà alla Casa Bianca. Cosa cambia per noi europei?
«Ho provato grande sollievo per la sua elezione. Un’America che si ritira dal Trattato di Parigi sull’ambiente è un’America che torna a spingere su un capitalismo sfrenato e non si preoccupa delle generazioni a venire. Trump, fin dal primo giorno del suo mandato, ha anche cercato di sabotare l’accordo sulla non proliferazione nucleare con l’Iran. Si tratta di un patto mai ufficialmente rescisso e che, spero, possa tornare in auge. Mi auguro che Biden riporti tutto sui binari della ‘normalità multilaterale’. E confido che torni a negoziare il Ttip, il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti con l’UE: a dispetto dal messaggio contraddittorio passato nel nostro Paese, si trattava di un accordo estremamente favorevole all’Europa e all’Italia. La lunga trattativa è stata interrotta da Trump e oggi i prodotti italiani, ad esempio, vengono imitati senza tante remore. Ora stiamo a vedere se si riaprirà la possibilità di negoziare da pari a pari».
Cosa si augura per il 2021? 
«Spero di tornare a prendere l’aperitivo in piazza a Cotignola con gli amici: significherebbe che l’emergenza è passata. Vorrei che le persone facessero qualcosa in più per informarsi correttamente e i media lavorassero meglio. In altre parole, spero che i ‘fatti’ tornino ad avere il sopravvento sulle bugie, le chiacchiere e  la malainformazione». 
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