Il bagnacavallese Nicola Samorì tra i 16 «grandi italiani» alla Biennale di Venezia
«L’opera forse più importante tra quelle che porterò a Venezia, certamente la più grande e quella che ha ispirato l’intero allestimento, si vedrà uscendo, non è possibile vederla prima». Prepara anche qualche sorpresa Nicola Samorì, il quotatissimo artista da anni residente a Bagnacavallo e che proprio una sorpresa non è, tra gli invitati alla Biennale di Venezia, anche se probabilmente la sua partecipazione al Padiglione Italia che inaugura il 9 maggio sarà anche più importante di quelle passate. Questo perché Samorì figura tra i 16 artisti che il curatore Vincenzo Trione ha chiamato per il suo «Codice Italia», che quindi sarà aperto solo all’eccellenza, alla punta dell’iceberg dell’arte contemporanea italiana (accanto a Samorì ci sono corregionali come Claudio Parmiggiani e Luca Monterastelli, nomi internazionali come Vanessa Beecroft e maestri storici come Jannis Kounellis e Mimmo Paladino). Ogni artista avrà un suo spazio, semplice e simmetrico, «Molto bello – dice Samorì -, l’idea di Trione era quella di piccole cattedrali e mi sono subito trovato in sintonia». Contesto ideale per l’arte dai tratti antichi e dalle lacerazioni sconcertanti di Samorì, che nega di essersi ispirato per un’opera al Cristo Morto del Mantegna, come riportato da alcuni media. «Una delle tre opere inedite che presento a Venezia – spiega l’artista – è legata al tema della resurrezione, ma in fondo la simbologia religiosa e l’arte sacra sono centrali nel mio lavoro».
Parliamo di opere di grandi dimensioni?
«Le inedite sì, in particolare ce n’è una di 5 metri x 4, che nasce dalla commissione di Trione, che ci ha chiesto di assemblare un personale archivio della memoria, un’archeologia personale del mio linguaggio, insomma. Questa grande opera corale, allestita nella controfacciata del mio spazio e quindi visibile solo uscendo dalla spazio, conterrà tantissime cose: libri, fotografie, documenti, quadri, sculture, opere mie ma anche altrui, ad esempio di Mattia Moreni e Lucio Fontana».
Ci saranno anche dipinti?
«Sì, in dialogo con la grande opera che dicevo, in una sorta di accumulo di stimoli visivi. Non si tratta di dipinti tradizionali, ma avranno una forte componente tridimensionale».
Che per lei non è una novità assoluta, visti i ripetuti interventi sull’oggetto-quadro.
«Questa volta però c’è un legame con forte con gli oggetti, autentiche interferenze con corpi estranei. Un dipinto è fatto direttamente su un tavolo, un altro è adornato da un pendente tridimensionale, in un altro c’è una gran quantità di elementi lignei che entrano sottopelle nell’opera. E’ molto forte la relazione tra il tessuto della pittura tradizionale e qualcosa che la sposta sul piano oggettuale». (f.sav.)