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Quasi cento autori veristi romagnoli esposti in due sedi a Imola

Faenza | 24 Dicembre 2014 Cultura
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Sandro Bassi
E’ in due sedi distinte (e in effetti analizza l’argomento, vasto, operando alcune fra le tante possibili distinzioni), è piacevolissima, coinvolgente, non esaurisce il tema - non ne ha neppure la pretesa - ma certamente lo affronta sotto molti punti di vista. Si tratta di «Arte dal vero: aspetti della figurazione in Romagna dal 1900 ad oggi», promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Imola presso il centro «Gianni Isola» in piazza Matteotti e il Museo di San Domenico, sempre a Imola.
Come noto, la rappresentazione del vero in arte costituisce un mondo sterminato, esistente da sempre e da sempre convivente con il suo opposto: l’astratto, inteso come tutto ciò che la nostra fantasia può partorire. E’ altrettanto noto come la lotta fra i due si sia particolarmente acuita nel XX secolo, quando le istanze avanguardistiche (sperimentali, innovative, e talvolta anche eversive, come nel caso dei primi futuristi) si sono spinte molto in avanti, generando poi riflussi e ripensamenti (i «ritorni all’ordine»?) che sono appunto oggetto della mostra. Peraltro, accantonando il «ritorno all’ordine» in senso stretto - perché sa di reazionario e perché in effetti fu dovuto anche ad un mutamento del clima sociale e politico - è giusto conoscere le multiformi facce del figurativo, precisando, come fa giustamente il curatore Franco Bertoni, che «Il vero resta un mistero, su cui al massimo possiamo puntare un umanissimo, dubitante e pur riconoscente sguardo».
Guardando le opere dei ben 91 autori selezionati ci si può banalmente chiedere cos’è la rappresentazione del vero. Non certo uno scimmiottamento della fotografia, non un pedissequo tentativo di imitazione. Altrimenti in mostra non ci sarebbe Giannetto Malmerendi, che sulla sua Natura morta del 1915 lascia pennellate «grosse» e increspate, a rilievo, che sembrano a spatola, e non ci sarebbe il grande Domenico Rambelli che ha sempre deformato la realtà arrivando a disfare le carni e a mandorlare gli occhi fino a raggiungere tratti mongoloidi; e nemmeno sarebbe stato ammesso l’autoritratto di Massimo Pulini che sul volto ha riflessi verdi e blu e gialli.
E’ vero che la rassegna include molti iper-realisti: del passato - ad esempio Leonardo Castellani, che con Ritratto di  famiglia del 1925 recupera un anacronistico ma suadente quattrocentismo quasi nordico - e del presente, come il nitidissimo Ugo Pasini o come Nedo Merendi che riesce a distillare poesia raffigurando la campagna di casa sua, non bucolica, non romantica e nemmeno bella, popolata com’è di guard-rail, asfalto, fossi, tapparelle anni ’60, cartelli e paracarri. Si dirà che è lo sguardo a fare la differenza, perché c’è chi costruisce visioni perfette, raffinatissime, imbevute di bellezza quasi universale - e sono i vari Ugonia, Baccarini, Salietti, Moroni - e c’è chi ostenta un’antigraziosità ai limiti del brutalismo: i nudi di Dioscoride Dal Monte o di Angela Maltoni, sottilmente perversi e comunque lontani da ogni idealizzazione. Possono anche inquietare ma sono un potente invito a riflettere sulle profondità dell’io e su quella strana chimera che è la realtà... o meglio la nostra percezione di essa.
 
Fino all’8 marzo martedì e giovedì ore 10-12 e 16-19; mercoledì e venerdì 16-19; sabato e domenica 10-12 e 16-19. Ingresso libero. Visite guidate gratuite in diverse date (vedi www.mostrefondazioneimola.it)


 
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