Silvia Manzani
Eleonora Mazzoni era una «difettosa» mentre si accingeva a finire il suo primo libro. Ma giovedi 18 dicembre alle ore 21, quando lo presenterà alle Cantine di Palazzo Rava di Ravenna (via di Roma 117) all’interno della rassegna CONtempoRAnea. Riflessioni ad alta voce organizzata dal settimanale Setteserequi, racconterà di essere mamma di due gemelli di tre anni. Grazie alla procreazione medicalmente assistita (Pma), sì. Attrice forlivese, Eleonora è uscita due anni e mezzo fa per Einaudi con Le difettose, un romanzo in buona parte autobiografico che narra un percorso alternativo verso la genitorialità: fatto di sogni, aspettative e fallimenti ma anche di cure ormonali e provette.
Nel libro è centrale il tema della maternità come paradigma dell’essere donna: lei si sarebbe sentita sbagliata, o diversa, se non avesse avuto i suoi figli?
«All’inizio del mio percorso credevo di sì. È la società a fare sentire le donne così. Poi, attraversando l’esperienza del dolore, ero giunta a una diversa consapevolezza: sarei stata una donna piena comunque. Carla, la mia protagonista, alla fine si sente realizzata lo stesso. Poi, è andata come non avrei mai pensato: ho scoperto di essere incinta dopo il terzo tentativo fallito. Ormai il libro era concluso».
Le difettose è diventato uno spettacolo teatrale, lei gira l’Italia per conferenze e dibattiti sulla Pma. Qual è il suo impegno civile?
«Mi sta molto a cuore l’argomento, come è ovvio che sia. E continuo a vedere un’Italia che è indietro anni luce rispetto all’Europa. Anche se il divieto di eterologa previsto dalla legge 40 è stato cancellato, la battaglia ideologica continua. Una battaglia senza senso, devo dire. Allo stesso tempo, qualche avanzamento di civiltà sta avvenendo anche qui, per fortuna».
«Detesto tutti i ritardi. Tranne uno», si legge tra le sue pagine. Che mondo è, visto da dentro, quello delle donne che passano dalla fecondazione assistita?
«Pare una sorta di famiglia fatta di persone accomunate da uno stesso destino che si sentono poco comprese e molto giudicate dall’esterno. È un mondo con un proprio linguaggio, che su Internet trova piena espressione. Un ambiente vitale, energico, solidale. Ma al tempo stesso dolorosissimo e denso di coraggio».
Chi sono quelli che giudicano?
«Un po’ tutti. Il punto è che solo la donna può decidere se e quando porsi un limite. Un figlio non sarà un diritto ma solo chi è disposto a tutto per averlo, le potenziali madri appunto, può dire alt. Nessun altro».