Da lunedì 14 i fratelli Servillo all'Alighieri. Parla Peppe

Ravenna | 14 Aprile 2014 Cultura
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Elena Nencini
A concludere la stagione di prosa del Teatro Alighieri uno spettacolo imperdibile come Le voci dentro, da lunedì 14 aprile (repliche martedì 15, mercoledì 16 alle ore 21 e giovedì 17 aprile ore 15.30). Un affresco corrosivo della nostra società, in cui l’odio e l’invidia sono i convitati di una cena che si consuma ogni giorno tra ipocrisia e corruzione morale: il testo scritto da Eduardo De Filippo nel 1948 vede in scena Toni Servillo – che è anche regista dello spettacolo - nei panni del protagonista Alberto Saporito e Peppe Servillo in quelli del fratello Carlo. Per la prima volta insieme sul palco. Il protagonista fa il 'seggiaio' ovvero affitta sedie per feste sacre e profane e vive in una casa magazzino con il fratello Carlo e lo zio Nicola. Una notte sognerà che i vicini di casa, i Cimmaruta uccidono un uomo, ma alle volte la realtà si confonde con il sogno. Peppe Servillo, musicista, attore, artista a tutto tondo, racconta la sua prima esperienza sul palco di un teatro.
È la sua prima volta in teatro. Come è stata questa esperienza?
«Al cinema ho fatto dei piccoli ruoli, ma aspettavo l'occasione giusta per poter fare un'esperienza impegnata come questa. Toni ed io in realtà abbiamo parlato in passato di un'occasione simile, però non l'abbiamo cercata in maniera forzata. Abbiamo aspettato di essere al servizio di un testo che metteva in scena la storia di due fratelli e di conseguenza far si che la verità biologica naturale facesse in qualche modo corto circuito positivo con la finzione».
In scena ricoprite i ruoli che furono di Eduardo De Filippo e di suo figlio Luca. Una bella responsabilità?
«Assolutamente. Ci sentiamo molto motivati e il pubblico ci sta accordando il suo favore, anche  all'estero lo spettacolo da San Pietroburgo, a Madrid, Chicago e Parigi».
Il suo personaggio cerca di truffare il proprio fratello.
«Più che truffare cerca di approfittare di una sua difficoltà per vendere l'azienda di Alberto. Interpretando un personaggio che mette in luce il proprio lato oscuro penso che si debba approfittarne. Nell'esperienza da attore non esiste mai una trasfigurazione totale, bisogna trovare all'interno le note giuste per un personaggio così distante, l'attore deve poter pescare in una gamma di toni, colori, espressioni».
Come è lavorare con Toni?
«Io mi auguravo che si verificasse questa esperienza, lui lavora con la parola ed io con la musica, ma non fatichiamo a intenderci. Ha insistito nella regia nel ribadire di non allontanarci mai dal senso di responsabilità che avviene con il confrontarsi con una tradizione così importante come quella di Eduardo, di evitare il rischio della routine, dell'abitudine che porta uno spettacolo replicato da tempo e che fa dimenticare la vera trasfigurazione di sè in scena. Come nella tradizione napoletana più antica Toni è capocomico: è regista e attore allo stesso tempo, tiene tutta la compagnia all'erta rispetto al personaggio, al tono, al senso del tempo, al valore del personaggio».
Con questo spettacolo ha vinto il premio Ubu come miglior attore non protagonista. Meglio che  vincere Sanremo?
«Non ho pensato alla cosa in questo termini, non mi aspettavo certamente di ricevere questo premio e mi ha onorato tantissimo. Particolarmente emozionante è stata l'occasione della consegna del premio in cui mi sono trovato vicino a tanti registi importanti. Da novizio mi sono sentito lusingato».
Torna a suonare con gli Avion travel?
«In realtà non ho mai smesso di suonare con loro e con altre formazioni. Dopo dieci anni quest'estate tornerò a suonare con la formazione originaria degli Avion Travel. Farò però molti concerti anche con il Solis String Quartet per lo spettacolo Spassiunatamente con cui ci occupiamo del repertorio della canzone classica napoletana con questa forma del quartetto d'archi, formula classica della musica strumentale italiana. Un progetto al quale tengo molto.
 Non ho mai separato musica e teatro, penso alla tradizione napoletana dove il musicista deve sempre saper fare un po' l'attore. E' la tradizione napoletana più antica di accostare recitare e cantare».
Uno musicista e l'altro attore, come è il resto della famiglia?
«Siamo una famiglia di spettatori, a casa sia i miei genitori che gli zii erano amanti del melodramma, della prosa, del cinema. Mio padre era un grande appassionato di cinema degli anni '40 e '50. Siamo spettatori, sognatori, ci siamo nutriti di una tradizione sempre molto importante».
Sogni nel cassetto?
«Francamente nessuno, credo che basti quello che sto facendo e mi sembra già abbastanza».
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