Brisighella, in via Baldina una villa rustica romana

Fin dallo scorso settembre è in corso a Brisighella un notevole scavo archeologico riguardante una villa rustica di età romana. Si trova in via Baldina, nella zona periferica appena a monte del «Ponte Lungo», su un pianoro («terrazzo fluviale») poco sopra la strada di fondovalle, dove dovrà sorgere il futuro Conad. E’ stato appunto con i sondaggi di inizio cantiere che è venuto alla luce il primo materiale riconoscibile come romano, il che era abbastanza prevedibile vista la vicinanza della strada maestra diretta a Firenze già documentata e importante a quell’epoca.
«La zona si configura a 'media potenzialità archeologica' - spiega Claudia Tempesta della Soprintendenza - per cui ce lo aspettavamo. In quasi quattro mesi di scavo sono venuti alla luce i resti di ben cinque ambienti e di strutture di servizio o produttive: una cisterna, due vasche al momento non identificabili, forse per la lavorazione di olio o vino, forse per la decantazione di argille, unitamente a monete e a moltissimi frammenti di ceramiche d’uso: da mensa, da dispensa (resti di anfore e di 'dolii' per la conservazione dei cibi), da cottura, anche di una certa raffinatezza ('terre sigillate'). Le monete, attualmente in restauro, vanno dal I al III secolo d.C. ma altri indizi ci consentono di 'allargare' la datazione dell’insediamento, che deve esser nato attorno al I secolo a.C. e, dopo diverse fasi costruttive, è stato abbandonato nel V d.C.».
Al momento il sito si presenta come un’affascinante distesa in cui spiccano le fondazioni dei muri realizzate con ciottoli di fiume disposti «di taglio» e alternati a «tegoloni» in laterizio; le strutture in alzato potevano essere in mattoni, ma Claudia Tempesta non esclude anche l’uso di materiali deperibili come legno e creta pressata; è emerso anche un lembo di pavimento in mattoni a spina di pesce. Quest’ultimo appare come un gioiellino ottimamente conservato, a testimonianza della perfezione delle tecniche costruttive - i mattoni non hanno leganti ma sono giustapposti con estrema cura a formare un insieme «autobloccante» - e della sensibilità estetica dei nostri avi.
Gli scavi sono condotti dalla Coop. Tecne di Riccione con il controllo della Soprintendenza Archeologica. E’ ancora presto per ipotizzare la restante durata temporale delle ricerche e la loro estensione come superficie: «Di sicuro non sono finite - spiega Claudia Tempesta - perché abbiamo visto che l’insediamento si sviluppa ulteriormente verso nord, ma potremo proseguire per un altro breve tratto, fino al limite del cantiere, ovviamente non oltre la strada».
Gli scavi, finanziati da Conad, per ora non compromettono lo svolgimento del cantiere anche perché riguardano quella che dovrà diventare l’area di parcheggio. Nel frattempo Conad sta procedendo a realizzare le fondamenta dello stabilimento vero e proprio che invece sorgerà nel lato sud.
Un «problema» riguarda invece la sistemazione finale di quanto emerso dagli scavi. Per quanto strano possa sembrare, verrà tutto (a parte gli oggetti mobili, ovviamente già depositati al sicuro) riseppellito sotto uno strato di terra sul quale verrà steso l’asfalto e ricavato il parcheggio. Gli archeologi quindi scavano con cura e passione, rilevano, fotografano... senza che poi nulla venga conservato, o meglio: è vero che tutto rimane potenzialmente disponibile a future ricognizioni, ma in pratica si sa che ben difficilmente si rimetterà mano a reperti che giacciono sotto un metro di terra sul quale a sua volta sorge un parcheggio.
«Capisco benissimo - spiega Claudia Tempesta - però vanno chiariti diversi aspetti: questo scavo è molto interessante da un punto di vista scientifico e nostro compito è appunto quello di documentare tutto con i mezzi a disposizione. La conservazione in situ sarebbe possibile, però prevederebbe un consolidamento delle strutture che, almeno per quanto emerso finora, non varrebbe la pena. Si tratta infatti di reperti non così rari, belli fin che si vuole ma che, una volta documentati, presentano problemi di conservazione: la loro musealizzazione è impensabile, sia per ragioni di spazio, sia perché in un museo non 'parlerebbero' più come invece ora».
Si può banalmente obbiettare che in America metterebbero tutto sotto una campana di vetro e valorizzerebbero anche ritrovamenti molto più modesti... Forse qui in Italia, come dice il vecchio luogo comune, «di roba bella ne abbiamo troppa»...
«Una copertura in vetro sopra qualche reperto particolarmente suggestivo come il pavimento a spina di pesce si potrebbe mettere - risponde Tempesta - ma a parte il necessario e costoso impianto di aerazione sottostante, a parte la necessità, a quel punto, di una manutenzione costante, bisogna dire che così, isolato e privato del suo contesto, il reperto sarebbe assai poco valorizzato. Altro discorso, ovviamente, si profilerebbe nel caso trovassimo un qualcosa di molto importante, tipo un pavimento in mosaico...».
Sandro Bassi