CULTURA | Capitale europea 2019, il professor Grandi ad Agorà: "Ravenna osi di più"
Niente progetti calati dall'alto. La strategia giusta è «coinvolgere le forze creative della città». Parola di Roberto Grandi, Ordinario di Comunicazione di Massa e Pubblica all'Università e consulente di progetto di candidatura di Bologna 2000, che venerdì 19 aprile introdurrà i lavori della prima giornata di Agorà con la lectio magistralis «Cultura, sviluppo, territorio». E da questo punto di vista, spiega Grandi, Ravenna è partita con il piede giusto: «scegliendo di definire un proprio percorso che parte dal territorio, senza ricorrere a consulenze esterne». Anche Matera ha scelto la stessa strada, prosegue Grandi, mentre non si può dire la stessa cosa delle altre candidate.
Ma quanto «paga» in termini di sviluppo del territorio il progetto di candidarsi a capitale europea della cultura? «In generale, è un impegno - chiarisce il professore -. Il fatto che dei territori decidano di concorrere per questo titolo significa che sono decisi ad investire in cultura come elemento identitario del loro tessuto». O meglio, più che in cultura, nella sua imprenditoria. E in genere, gli studi insegnano, l'investimento paga: «Se si investe in questi settori, crescono i media, le attività culturali e di intrattenimento, i servizi creativi e l'artigianato artistico. E poi, a seconda dei territori, le imprese innovative e hi-tec e l'industria del Gusto. Il vantaggio a questo punto non sarà solo per le industrie interessate per tutto il settore imprenditoriale che beneficerà dell'innovazione apportata da questi settori». Un motore che poi genera capitale culturale, maggior domanda e consumo di cultura e più del capitale sociale. A patto che, prosegue Grandi, anche le istituzioni si adeguino al genere di sviluppo intrapreso dal territorio: «Devono saper rispondere alle nuove esigenze delle imprese, in maniera non tradizionale».
Ma tutto questo può avvenire anche in tempi di crisi e scarsità di investimenti pubblici come questi? Il professor Grandi non ha dubbi: «Si ripensa al proprio tipo di sviluppo territoriale quando quello che c'è è in crisi. Un solo esempio: Glasgow 1990. La città inglese è stata la prima a concepire la candidatura come un modo per ripensare al proprio sviluppo territoriale e l'ha fatto proprio perché era sull'orlo del fallimento». In questo processo, però, è essenziale il coinvolgimento della popolazione: «Senza una designazione vera e propria (e anche per ragioni culturali) è difficile. Ma la vera sfida candidatura è coinvolgere i cittadini. E parlo per esperienza. Bologna, questa sfida, l'ha persa».