Il faentino Roberto Cimatti ha seguito Giorgio Diritti in Amazzonia
Amato o criticato, poco importa. «A me ha portato via due anni di vita» dice Roberto Cimatti, direttore della fotografia di tutte le opere del regista Giorgio Diritti. E c'è da credergli all'istante, perché Un giorno devi andare, girato nella foresta pluviale amazzonica e tra la comunità indios della favela sulla riva del Rio Negro, è davvero una di quelle imprese, produttive e autoriali, a cui il cinema italiano non è (più) abituato. «Difficoltà di carattere organizzativo e logistico - elenca Cimatti, faentino e da anni ai più alti livelli della fotografia cinematografica -, di dispendio economico e di energie, ma anche difficoltà di comprensione linguistica con le comunità delle palafitte che non sempre parlano il portoghese, e soprattutto difficoltà nell'acclimatarsi ad una pazzesca variazione ambientale».
Accompagnato dal fidato assistente Luca Nervegna e dal figlio 24enne («Mi premeva fargli vivere questa esperienza, ed è stato un ottimo assistente ai monitor che anche Giorgio ha apprezzato» sorride babbo Roberto), in Amazzonia c'era la necessità di instaurare un rapporto immediato con elettricisti e maestranze locali, per un lavoro che fosse il più efficace possibile. «Questi luoghi del Brasile non hanno consuetudini di cinema. Significa, nel mio caso, che anche reperire un panno bianco, una lampadina, un cavo elettrico o un pannello di polistirolo, è una difficoltà». Le premesse, però, erano delle migliori. «Iniziammo con un primo sopralluogo - racconta Cimatti - a cui partecipai con una piccolissima delegazione: ci siamo fatti conoscere, da parte delle comunità locali c'era attenzione e curiosità, raramente hanno passaggi di occidentali nei loro territori, e si sono subito dimostrate persone di grande umanità e accoglienza». In pochi giorni, poi, la lavorazione appassiona tutti. «Le riprese sono iniziate nell'ottobre 2011, a inizio gennaio dell'anno successivo siamo tornati in Italia e a Trento abbiamo girato la parte del film ambientata in Italia». Che dopo tante difficoltà, è sembrata uno scherzo, concludendosi in due settimane.
«In Amazzonia - continua Cimatti - abbiamo vissuto momenti distinti. Imbarcati a bordo di queste grandi chiatte, come quella che si vede nella prima parte del film, era molto affascinante risvegliarsi al mattino in un luogo completamente diverso da quello lasciato la sera. In città, tra le palafitte, condividevamo la vita con la comunità indios». La sfida fotografica era però sempre la stessa: «Rendere il senso dello spazio straordinario che stavamo vivendo, della maestosità di quei luoghi incredibili, trasmettere insomma in un meccanismo visivo l'immersione totale dei sensi in una realtà la cui eccezionalità era però anche la stessa contro cui dovevamo scontrarci. Gli imprevisti erano tantissimi, il girato ripetuto parecchie volte di seguito, Diritti con me è stato comprensivo e paziente, perché il tempo, e dunque la luce, cambiava rapidamente, e a volte era proprio impossibile continuare a lavorare, bisognava aspettare il giorno seguente, quando passato il temporale si sarebbe ripetuta una situazione di cielo sereno simile a quella in cui la scena era iniziata».
Al di là di campanilismi o piaggeria, la fotografia del faentino Cimatti è davvero la sostanza espressiva migliore di Un giorno devi andare. «Ci siamo chiesti a lungo come realizzare, nella contemporaneità di tempo, la distanza tra i due luoghi del film, l'Amazzonia equatoriale e l'Italia invernale, e come descrivere il tentativo continuo della madre della protagonista di mettersi in comunicazione con lei». Il difficile era misurarsi con la luce amazzonica, che il direttore della fotografia definisce «abbastanza orizzontale, capace di produrre ombre mai contrastate». L'idea, rilevante e pregevole, ha visto in Brasile l'irruzione della luce nel campo visivo della storia e della narrazione, e un controcampo quasi di costrizione per le sequenze trentine, in cui la fonte luminosa è praticamente sempre imprigionata nell'inquadratura. «E in termini distributivi - chiude Roberto Cimatti, a buon diritto soddisfatto del proprio lavoro - è come se avessimo fatto un passo indietro: nell'epoca in cui si sta affermando il digitale, Un giorno devi andare scommette forte sui quei pochi laboratori di sviluppo e stampa della pellicola rimasti aperti, ponendo loro una sfida anche chimica, perché una piccola disattenzione potrebbe guastare l'immagine che, anche al di là del film, abbiamo voluto dare di questa nostra sbalorditiva esperienza di vita».