Le «Ragazze ribelli» del Teatro Due Mondi, dalla storia alla scuola»

Faenza | 27 Gennaio 2017 Cultura
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Federico Savini

«Abbiamo scelto storie emblematiche, ma un po’ tutte le storie di donne hanno a che fare col coraggio, a partire da quelle invisibili e quotidiane, tra figli, famiglia e lavoro; e poi ci sono quelle drammatiche e di chi lotta per i diritti. Oggi come ieri». Alberto Grilli, regista del Teatro Due Mondi, spiega così il ritorno della compagnia sul tema della discriminazione di genere, al centro del nuovo spettacolo Quelle ragazze ribelli, in scena alla Casa del Teatro di via Oberdan, a Faenza, sabato 28 alle 21 e domenica 29 alle 16, come sempre con ingresso libero all’uscita. Quelle ragazze ribelli, allestito da Grilli insieme all’autore Gigi Bertoni con Tanja Horstmann e Maria Regosa in scena, arriva a pochi mesi da Vedrai vedrai, che affrontava gli stessi temi, toccati anche dall’ormai storico Lavoravo all’Omsa. «Il lavoro per Quelle ragazze ribelli nasce prima di Vedrai vedrai – precisa Alberto Grilli -. Volevamo parlare della condizione femminile soprattutto per i ragazzi delle scuole medie superiori».

C’è un progetto specifico?

«Il debutto sarà alla Casa del Teatro, poi andremo nelle scuole. A quell’età si può fare molto per sensibilizzare sulla questione femminile. Gli stessi insegnanti ci dicono che è un tema scottante e poi si producono in genere pochi spettacoli per quella fascia d’età».

Come vi rivolgerete ai ragazzi?

«Con uno spettacolo serio ma non privo di leggerezza, irriverenza e musica. Raccontiamo ‘donne-simbolo’ come Malala Yousafzai, giovane Nobel pakistana che si ribellò ai talebani per la difesa del diritto allo studio delle bambine, o Rosa Parks, che declinò al femminile la lotta anti-segregazionista degli afroamericani. Ma ci sono anche una ragazza di oggi alle prese col bullismo sul web, le provocazioni punk delle Pussy Riot, una campionessa di karate egiziana e la vicenda di una staffetta partigiana, una delle donne che ‘misero per prime i pantaloni’ da queste parti».

Cos’hanno in comune?

«Cambiano le vicende, i Paesi, i contesti religiosi e i periodi storici, ma tutte invitano a non tacere sui soprusi e a ribellarsi. Devono farlo per creare un movimento d’opinione che superi i pregiudizi, non possono aspettarsi che a prendere l’iniziativa siano gli uomini».

Cosa pensano le donne che hanno lavorato allo spettacolo?

«Che abbiamo fatto passi indietro rispetto alle conquiste degli anni ’70 e ’80. Ci sono omicidi, pregiudizi culturali e tanto da fare sul lavoro. Le manifestazioni anti-Trump ci dicono che si torna a parlare di ‘Femminismo’, è una lotta che deve ripartire. Per anni ci siamo difesi additando i Paesi dell’area musulmana come particolarmente retrogradi, ma la nostra presunzione di essere tanto ‘liberali’ si scontra di continuo con episodi e tendenze che dicono quanto gli uomini ancora accettino con difficoltà l’idea dell’autonomia femminile».

 

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