Tutto Olindo Guerrini nei nuovi «Sonetti romagnoli», curati da Renzo Cremante

Romagna | 21 Ottobre 2016 Cultura
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Federico Savini
«Ad oggi esiste una sola edizione dei Sonetti Romagnoli di Olindo Guerrini, che è stata ristampata venti volte ma mancano tanti sonetti e ce ne sono di censurati. Nella nuova edizione che sto curando, col contributo fondamentale di Giuseppe Bellosi, pubblicheremo il Guerrini dialettale nella sua interezza, con un vero apparato critico». Renzo Cremante è professore ordinario di Letteratura italiana all’Università di Pavia e pensa sia un’anomalia, per un «forestiero» come lui, occuparsi di un caposaldo del dialetto romagnolo. Ma non è il primo (basti pensare anche solo a Valieria Miniati e Davide Pioggia) e soprattutto il lavoro che presenterà a Ravenna per il centenario guerriniano è destinato a «restare».
La nuova edizione dei Sonetti Romagnoli uscirà probabilmente a fine anno, per Longo, ma sarà presentata venerdì 21 e sabato 22 ottobre alla sala Nullo Baldini di Ravenna, dalle 15 del venerdì - con la commemorazione del centenario della morte del poeta santalbertese - e dalle 9 del sabato, in un convegno organizzato dagli Amici di Olindo Guerrini.
«Di norma mi occupo di letteratura di altri secoli - spiega Cremante -, ma ho sempre trovato Guerrini un autore interessante, e anche la frequentazione di ambienti culturali romagnoli mi ha spinto, anni fa, ad approfondirlo. Lo spunto partì dalla cooperativa culturale di Sant’Alberto “Un paese vuole conoscersi”, oggi presieduta da Paolo Belletti, in particolare fu un’idea di Vania Vassura e Marna Ortolani. Per anni il lavoro è andato avanti a singhiozzo ma con l’approssimarsi del centenario è giunto a maturazione».
Cosa le interessa di Guerrini?
«Mi ha sempre incuriosito la mitologia guerriniaia che c’è in Romagna, e a ravenna in particolare, alla quale non corrisponde un riconoscimento adeguato nelle storie letterarie italiane. E’ uno strano paradosso perché, di converso, Guerrini fu molto famoso in Italia a suo tempo. La sua opera prima, Postuma, attribuita al cugino immaginario Lorenzo Stecchetti, divenuto lo pseudonimo guerriniano più celebre, uscì nello stesso anno delle Odi Barbare di Carducci, il 1877, ed ebbe molto più successo».
Il Guerrini dialettale era però ancora una faccenda privata…
«Certo, i Sonetti Romagnoli vengono scritti in due fasi della sua vita. La prima fi tra gli anni ’70 e ’80 dell’800, quando Gerrini aveva un ruolo nella politica di Ravenna, sosteneva posizioni radicali e repubblicane e quindi contestava l’establishment moderato, i “briganti che governano Ravenna”, diceva. Pubblicò alcuni testi dialettali, molto sarcastici, su giornali locali, come del resto facevano anche Corrado Ricci e Adolfo Borgognoni. La scelta del dialetto era in chiave militante, non certo poetica dato che non esisteva una tradizione lirica vernacolare a cui far capo. Sappiamo che esistono sonetti romagnoli del ‘500 ma se Guerrini ha avuto un modello, questo va rintracciato semmai in una figura inclassificabile come Jacopo Landoni, un autentico buontempone letterato ravennate del primo ‘800, che senz’altro piaceva a Guerrini perché era fondamentalmente un burlone».
E la seconda fase dei Sonetti?
«Alla fine della sua vita Guerrini si sente artisticamente superato, lo fa capire dai suoi scritti tardi. Dopo 25 anni di silenzio sul versante dialettale Guerrini compone nuovi sonetti, dice al figlio che li pubblichi solo dopo la sua morte e intrattiene una corrispondenza dialettale col nipote da cui nascono personaggi come Pulinera e Tugnaz. Materiale ai tempi inedito, a parte qualche estratto da E’ viaz che esce su riviste bolognesi. La sua poesia dialettale è privata ma scritta con serietà, si ritrovano temi sociali, il suo anticlericalismo ma anche umorismo fine a se stesso».
E’ materiale che ha un’attualità?
«Penso che valga più della produzione giovanile di Guerrini, è quindi giusto cercare di sottrarlo auna fruizione puramente locale. La poesia romagnola dialettale del Novecento guarda a lui. I santarcangiolesi, con i loro rovelli dai risvolti drammatici e umoristici, sono figli di Guerrini, non certo di Spallicci».
Cosa c’era da rivedere e correggere delle vecchie edizioni dei Sonetti?
«L’unica edizione è quella del ‘20, su Zanichelli. Durante il fascismo quasi scomparve, forse per via dei Patti Lateranensi che mal si conciliavano con la poetica guerriniana. Nel ’48 la raccolta viene ristampata e seguiranno una ventina di ristampe, i Sonetti sono amatissimi in Romagna. Ma solo la prima stampa era illustrata da Augusto Majani e conteneva un paio di sonetti molto violenti e anticlericali, poi spariti. Ce ne furono altri deliberatamente esclusi dalla pubblicazione e alcuni probabili interventi censori. La nuova edizione si avvale della preziosa consulenza e traduzione di Giuseppe Bellosi, di una trentina di poesie sostanzialmente inedite e del commento critico. Vengono identificati, ad esempio, personaggi locali citati da Guerrini e possibili modelli letterari, come il romanesco Belli e il milanese Porta. Forse il commento è fin troppo abbondante e minuzioso, ma abbiamo approfittato dell’occasione per dire tutto quel che si poteva. Ad esempio che Guerrini fu un grande versificatore, anche sotto il profilo tecnico. Insomma, l’abbiamo trattato come un classico, lo merita».
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