Partono i «Lõn ad Mêrz» al teatro dei Filodrammatici, ricordando Masì Piazza

Faenza | 07 Marzo 2016 Cultura
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«A so un cãn abandunê: / i m’à mès ‘te mëz ‘d ‘na strê / sẽza gnãca un pô ‘d rigvêrd / parchè i dis ch’a so “bastêrd”». Lo scriveva un po’ di anni fa Tomaso «Masì» Piazza, nella poesia E cãn abandunê, ma non si può certo dire che il più prolifico zirondellaio faentino del secondo Novecento sia stato dimenticano, come un cane abbandonato dalla sua città. E infatti, proprio in occasione di quello che sarebbe stato il centenario di Piazza (il prossimo 28 agosto) la Filodrammatica Berton ha deciso di ricordarlo, come già fece due anni fa, nella serata di apertura dei «Lõn ad Mêrz», lunedì 7 marzo alle 20.30 al teatro dei Filodrammatici di Faenza.
Nato nel Borgo Durbecco nel 1916, fratello minore di Ugo, anch’egli poeta e pure medico, giornalista e commediografo, Masì Piazza comincia a cimentarsi con le zirudele negli anni ’30, abbondamente passati i vent’anni. «Per lui è più facile scrivere in rima che in prosa» ricordava due anni fa su queste pagine Giuliano Bettoli, che lunedì 7 sarà nel teatro di viale Stradone insieme a Mario Gurioli, cutatore della serata nella quale – si legge ufficialmente - «A cento anni dalla nascita la Berton ricorda Tomaso Piazza».
Un personaggio, Masì Piazza, le cui tracce si confondono davvero nel mito, dato che alcuni dei suoi «sermoni» (come quello che trovate a fianco) sono entrati a far parte dell’abbecedario rituale, e natalizio nella fattispecie, dei bambini faentini da diverse generazioni, al punto che le liriche di Piazza si possono ormai considerare dei tradiscional, cum i dis j americhén.
Soprattutto Masì Piazza è stato celebre come zirondellario del Luneri di Smembar per ben 55 anni, dal 1949 al 2004, e ha pubblicato diverse raccolte: La gulpe di scavezz, Smembar, Al preghier e I sarmo de zei Masett, oltre a quelle sulla rivista 2001 Romagna, nonché la farsa La giurneda di bido. A consolidarne il mito sono poi le 150 trasmissioni in dialetto, dal 1976 al 1992, su Radio 2001 Romagna, proprio con Giuliano Bettoli, che sempre su queste pagine ebbe a scrivere: «Masi parlava un dialetto incontaminato, arguto, popolano, sapido: quello ricevuto dalla sua famiglia borghigiana». (f.sav.)

Le similitudini tra romagnolo e francese e il gergo dialettale dei muratori
 «Ma “Toujours” significa forbici?». Partirà da questa constatazione il secondo dei tre «Lõn ad Mêrz» 2016, incontri di approfondimento sulla lingua dei nostri padri organizzati dalla Filodrammatica Berton e l’Istituto Schürr – e ai quali il nostro settimanale si fregia di aderire -, nei lunedì di marzo al teatro dei Filodrammatici di Faenza. E così, lunedì 14 alle 20.30, a parlare delle «Similitudini e differenze tra il romagnolo e il francese» sarà Gilberto Casadio dell’Istituto Schürr, insieme alla professoressa universitaria Marie-Line Zucchiatti e con la collaborazione di Roberto Gentilini.
L’ultimo appuntamento, lunedì 21 marzo sempre ai Filodrammatici, sarà curato da Giuliano Bettoli e avrà per tema «E zo ‘d chi “Landini”. Viaggio attraverso il gergo dei muratori del Morri», dedicato quindi alle metafore dialettali usate per decenni dai muratori per poter parlare indisturbati di ogni cosa senza farsi capire dal prossimo.
 
 
 
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