Elena Nencini
L'ultima graphic novel di Davide Reviati, fumettista e pittore, è stata Morti di sonno, vincitore di diversi premi sia in Italia che all’estero, tra cui il Premio Micheluzzi per il Miglior fumetto al Napoli Comicon 2010 e il Prix dBD nel 2011 a Parigi. Lo scrittore ravennate torna adesso in libreria con «Sputa tre volte» (Coconino press), 560 pagine in bianco e nero, segnate da un tratto forte, denso, da grigi sfumati, dove racconta, tra un capanno e una campagna emiliana, la storia di un gruppo di ragazzi cresciuti insieme in una periferia. Ma è anche la storia di Loretta, ragazza selvatica e di un gruppo di rom, per raccontare l’amicizia, la stagione dell’adolescenza e la sua fine. Ma anche i pregiudizi, la paura del diverso, la fragilità umana.
Dopo sei anni ha realizzato una nuova graphic novel. Come mai ha scelto questo genere, che unisce romanzo e fumetto?
«Avevo sempre pensato che il fumetto potesse essere solo il veicolo della commedia, pensavo che la tragedia fosse più idonea ad essere rappresentata solo dalla pittura o da altri mezzi. Poi ho capito che la tragedia poteva essere raccontata anche dal fumetto e che il linguaggio del fumetto era lungi da esser concluso, c'era molto da scoprire. Quando ho scritto Morti di sonno era da un pezzo che ce lo avevo in testa: era la storia del mio quartiere, della mia generazione e mi sono buttato. È stato un salto nel vuoto perché non avevo un metodo di lavoro codificato. Non avevo una sceneggiatura sotto, non sapevo quanto sarebbe durata la storia, non sapevo quando sarebbe finita. Non ho organizzazione, ma mi piacerebbe tanto un metodo un po' più fisso a cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà in cui diventa più dura. I lati positivi di lavorare così invece sono che sei sempre molto vivo, molto attento perché la storia si “fa” mentre la disegni. In questo modo la storia cresce sotto le tue mani».
Qual è stato il primo nucleo da cui è partito?
«Dalla voglia di raccontare un personaggio: la zingara e lei si è portata dietro un sacco di cose, tra cui il mondo dei Rom che già conoscevo ma su cui ho fatto tante ricerche. Da lì si è sviluppata la storia. I miei frammenti di memoria si sono andati ad arricchire con la fantasia. Non ho voluto dare un luogo prestabilito come in Morti di sonno (il quartiere Anic nda) ci sono i nostri luoghi, i capanni e c'è la campagna emiliana perché i miei sono originari di Parma ed ho messo insieme le mie due patrie senza dargli un nome, fondendole volutamente. Ne è nata una sorta di ibridazione tra Parma e Ravenna. Non era importante la storia di un luogo preciso, l'ambizione era che assumesse aspetti di universalità».
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