Vino, cantine contro la Ue: «Liberalizzazione Doc vitigni, un disastroso gioco al ribasso»

La liberalizzazione delle denominazioni di origine che prendono il nome dal vitigno (Sangiovese, Rubicone, ma anche Lambrusco e altri ancora) non trova consensi da chi, quotidianamente, opera nel settore. Dopo il mondo politico, quello delle rappresentanze economico-sociali, dei consorzi e dei grandi gruppi produttori, anche le cantine del territorio dicono no «al marketing fotocopia e al gioco al ribasso» che l’Europa vuole imporre ad uno dei simboli più autorevoli del made in Italy. Questa liberalizzazione, che non si può solo ridurre a marketing e concorrenzialità tra i Paesi, fa molta paura perché va ad incidere su capisaldi della riconoscibilità del vino italiano: territorio, storia e identità. Soprattutto in favore di Stati con bassa, per non dire nulla, produttività enologica e per incentivare produzioni di vini varietali, cioè senza denominazione di origine o indicazione geografica e senza alcun legame con il territorio di produzione.
«Il nostro modo di fare vino - spiega Giacomo Berdondini, della cantina La Berta di Brisighella - da sempre punta su identità e territorio. Noi siamo contrari e non vediamo di buon grado chi impone scelte che vanno in direzione opposta. Bisognerebbe tutelare, promuovere e valorizzare le eccellenze e non cercare di spianare la strada a contaminazioni al ribasso».
Sulla stessa lunghezza d’onda è la posizione della cantina Trerè di Faenza. «La decisione che si vorrebbe prendere è per noi negativa. Si tratta - spiega Massimiliano Fabbri - di un taroccamento imposto per legge che si identifica come un vero controsenso, vista la necessità invece di valorizzare le tipicità territoriali. Il danno economico, per chi punta sulla qualità, sarebbe poi enorme».
A creare forte preoccupazione per questo italian sounding una sorta di economia parallela che utilizza denominazioni, immagini e marchi che evocano l’Italia ma che nulla hanno a che fare con essa è l’impianto generale della scelta. Per molti produttori del territorio questo è «un gioco al ribasso» che sfocia in una promozione «di marketing fotocopia, anche se sbiadita» di un grande patrimonio che invece dovrebbe essere «tutelato e protetto».
Il «vigneto Italia», forte di 500 varietà d’uva, è messo sotto scacco. A destare incredulità c’è anche il fatto che l’ipotesi di liberalizzazione andrebbe contro i principi approvati nella riforma Ocm vino del 2008, che vedeva l’Europa in prima linea nella promozione dei vini con indicazione geografica protetta e quelli con denominazione d’origine protetta identificati come «i vini di qualità dell’Unione europea». Per tutto questo «l’eventualità della liberalizzazione ci tocca parecchio. Non è - rimarca Ilaria Ferrucci, della storica cantina Ferrucci di Castel Bolognese - una buona notizia. Salvaguardare le zone, quindi le produzioni, è la strada da seguire e non svilirne l’essenza storica, identitaria e qualitativa attraverso una legge. Spero vivamente che si possa trovare una mediazione al rialzo ed un’alternativa per questa vicenda».
Infine anche Luciano Monti, titolare della Cantina Spinetta di Santa Lucia non ha dubbi nel definire la scelta di liberalizzazione «sbagliata. In questo modo andiamo contro a tutto quello che abbiamo fatto e per il quale abbiamo lavorato in questi anni. Denominazioni, sottozone anche piccole, disciplinari e controlli molto serrati valorizzano la qualità, liberalizzare le denominazioni di fatto cancella tutti gli sforzi, anche economici, che il settore vino ha compiuto in questi anni».
Riccardo Isola