Federico Savini
«Parlare di musica “contemporanea” forse non dice tutto di noi, ma è corretto, perché quella del contemporaneità è una delle direzioni che seguiamo e poi, banalmente, suoniamo brani scritti oggi, in questo tempo e in questo mondo». Il rapporto tra la Classica Orchestra Afrobeat e la contemporaneità è sempre stato prima di tutto una sfida ai luoghi comuni e alle barriere; così, dopo aver celebrato la figura di Fela Kuti riconciliandone le canzoni con un’inattesa «lontana parente» come la musica barocca europea e aver utilizzato quel suono palpitante e ricamato per l’opera epica Regard sur le Passé, l’originale ensemble guidato dal percussionista russiano Marzo Zanotti giovedì 28 gennaio presenterà il nuovo progetto Polyphonie, in uno spazio d’eccezione come l’Auditorium Manzoni di Bologna (un paio di mesi fa c’ha suonato Bob Dylan, per capirci). Con questo terzo lavoro di ampio respiro, l’ensemble si confronta per la prima volta con composizioni proprie da cima a fondo, utilizzando scopertamente la polifonia alla ricerca di una «Primitiva armonia tra l’umano e il divino - dice lo stesso Zanotti -. Le composizioni sono nate dal silenzio mobile di un lago o dal respiro degli alberi, frutto di un estensivo lavoro di gruppo».
Per arrivare a proporre brani originali bisogna prendere confidenza con le possibilità di questo ensemble barocco che suona musica africana?
«Qualcosa del genere, dopo due dischi e tanti festival, anche internazionali come il Glastombury in Inghilterra, ci conosciamo abbastanza bene da sapere chi siamo e a cosa possiamo puntare in termini artistici. I brani sono composti da una pluralità di autori, oltre a me Francesco Giampaoli, Anna Palumbo, Tim Trevor-Briscoe, Valeria Nasci e il cantante camerunense Njamy Sitson, che sarà con noi a Bologna non come ospite, ma come musicista coinvolto nel processo creativo fin dall’inizio. Anche gli arrangiamenti sono frutto di un lavoro di gruppo».
E non è facile quando si è una quindicina…
«Tutti professionisti, tra l’altro! La condicio sine qua non è la passione, teniamo tutti alla Classica Orchestra Afrobeat, fin qui ci ha dato grandi soddisfazioni, quindi andiamo avanti».
Ma sarà un unico flusso musicale o una serie di brani?
«Saranno diversi pezzi, alcuni molto delicati e altri più energici, ma puntiamo a far emergere un suono uniforme. Abbiamo lavorato molto anche sull’aspetto teatrale e cerchiamo una forte organicità dell’ensemble, lo stesso richiamo alla polifonia si allontana dall’idea dell’iniziativa solistica».
Rispetto al passato cambierà il suono?
«In parte, sarà più compatto e meno barocco, ma sempre col clavicembalo. Useremo però percussioni molto profonde e insolite, alcune pure scenografiche. Io ho composto i miei pezzi con una sorta di arpa africana chiamata “
kamale ngoni”».
E’ un omaggio alla bellezza della natura?
«Avvicinarsi alla natura è stata un’esigenza dopo aver affrontato tematiche sociali e politiche molto forti. Oggi vogliamo far sentire la nostra voce e far emergere una sensibilità più spirituale e anche più femminile. Partiamo dai silenzi, dal bisogno di dimenticarci del caos, ascoltando di più la natura e ascoltandoci di più tra di noi».