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Il mondo dell’enologia immette sul mercato prodotti sempre nuovi. Vini che a loro modo si presentano al pubblico con identità particolari, frutto di tecniche moderne e antiche allo stesso tempo. Una ricerca di un gusto unico, particolare a tratti inedito che cercano di allenare e far emozionare i palati degli esperti amanti del vino e perché no dei neofiti. Tra queste tipologie una molto particolare, e in crescente ascesa in questo ultimo periodo, è quello della macerazione sulle bucce dei vini bianchi. Per capirne i segreti e le particolarità è il sommelier Ais Vitaliano Marchi ad aiutarci. «I vini bianchi macerati sono quei prodotti ottenuti attraverso una delle pratiche più antiche dell’enologia. Di fatto – spiega – si vinifica seguendo quello che normalmente viene fatto per ottenere i vini rossi: tenere a contatto il mosto con le bucce dell’uva per periodi più o meno lunghi. In questo modo otteniamo dei vini bianchi con un colore più deciso, una maggiore struttura, spesso un leggero velo tannico ben avvertibile in degustazione, così come delle note ossidative più o meno importanti».
L’origine di questo modus operandi è antico «i primi esempi – ricorda Marchi - risalgono addirittura ad oltre 3000 anni a.c. in Georgia, in quella che oramai è considerata la culla del vino». A dettar leggere erano allora e lo sono ancora oggi «le anfore in terracotta dove il mosto veniva fatto fermentare assieme alle proprie vinacce per lunghissimi periodi di tempo, fino ad oltre un anno». Spostando lo sguardo in terra di Romagna questa tecnica, spiega il sommelier «è stata sempre usata comunemente fin dall’epoca dell’impero romano, quando tutta la Romagna, da Rimini a Faenza era un immenso vigneto diviso in appezzamenti precisi che venivano assegnati ai militari al momento del loro ritiro dal servizio attivo. Il vitigno più coltivato era il Trebbiano, tanto da meritarsi l’appellativo di uva del legionario, ma si affacciava anche l’Albana». Questa riscoperta dei vini bianchi macerati in Italia, si deve ad alcuni produttori friulani, che attorno all’inizio del 2000 recupera vecchie tradizioni di vinificazione, integrandole in alcuni casi con gli antichi metodi georgiani dando vita ai cosiddetti «Orange wine», diffusasi poi in tutta Italia.
«Anche in Romagna – conlude Marchi - è stata ripresa questa metodica, attraverso un progetto che vede coinvolti numerosi produttori chiamato ‘Ansomigafora’. In pratica, attraverso l’utilizzo delle anfore georgiane, si sta riscoprendo tutta una serie di tradizioni legate alla produzione dei vini bianchi macerati e in particolare all’Albana. Questo vitigno si adatta perfettamente a questo tipo di vinificazione, regalando già dalle prime prove effettuate vini di altissima qualità che potrebbero rappresentare un ulteriore tassello nel processo di valorizzazione enologica regionale».
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