Un giro sulla prima collina a due passi dalla centro, tra le ville cittadine

Romagna | 11 Novembre 2019 Cronaca
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Sandro Bassi - Due mesi fa è uscito «L’età neoclassica a Faenza. Le ville» (a cura di Franco Bertoni e Marcella Vitali; 221 pagg.; Danilo Montanari Editore, 40 euro).
Il volume è doppiamente importante, poiché fa seguito al primo tomo sull’età neoclassica faentina, incentrato sui palazzi di città - uscì nel 2013 e andava dalla rivoluzione giacobina a tutto il periodo napoleonico – e perché costituisce il necessario aggiornamento del «Ville faentine», di Franco Bertoni e Giorgio Gualdrini, dell’ormai lontano 1980; quest’ultimo rappresentava un autentico catalogo sistematico delle locali residenze di villeggiatura, fenomeno non certo esclusivo del faentino ma che nel faentino trovò in età neoclassica uno sviluppo di eccelsa qualità e i cui esiti sono ancor oggi in buona parte conservati.
Per approfondire l’argomento basta – si fa per dire - leggere i tre saggi introduttivi (Andrea Emiliani: Le ville neoclassiche faentine e la sopravvivenza del mito; Marcella Vitali: Ville faentine neoclassiche dalle premesse all’eredità classica nell’Ottocento; Franco Bertoni: Ville e natura nella Faenza del periodo rivoluzionario e napoleonico). In questa sede ci limitiamo ad esaminare il successivo catalogo di ville, redatto a schede molto precise, traendone una sorta di itinerario naturalistico o meglio, ricreativo: le ville, come le chiese di campagna o come i castelli, possono far da «pretesto» per le più belle gite fuori porta, quelle alla scoperta del paesaggio. 
Ogni scheda consta di tre paragrafi, dedicati ad architettura, decorazione e documentazione, quest’ultima contenente i vari passaggi di proprietà, in pratica la storia dell’edificio. Vi sono tutte le informazioni utili a conoscere ed apprezzare il pregio di questo immenso patrimonio. Patrimonio che è in larga parte privato e, di norma, non visitabile - con alcune significative eccezioni fra cui le visite guidate del Fai, di Italia Nostra e della Pro Loco - ma soggetto ai vincoli di legge per via, appunto, dei numerosi motivi di interesse architettonico e artistico. A ciò si aggiungono i riflessi su quel tesoro collettivo che è il paesaggio, naturale o costruito dall’uomo, e che nel caso del territorio faentino, soprattutto per quanto riguarda la collina, è ancora, quasi ovunque, magnificamente conservato.
Non si può infine tacere del curatissimo apparato iconografico, costituito non solo da belle foto a colori, ma anche da immagini d’epoca in bianco e nero, da tavole progettuali e dai disegni di quell’insostituibile vedutista-visionario che fu Romolo Liverani.

UN ITINERARIO
Si parte da Porta Montanara e si imbocca (immaginiamo l’itinerario in bici) la frequentatissima pista pedonal-ciclabile che fiancheggia via Firenze. La prima che si incontra, dopo circa un chilometro, è Villa Benedetti, lontana dalla strada 200 metri ma raccordata ad essa da un insolito (a Faenza è l’unico caso) viale di abeti rossi e dal delizioso oratorio Bertoni che sorge proprio a filo di via Firenze: la pista ciclabile passa sul suo piccolo sagrato, che vede per Faenza uno dei primi usi della piemontese «pietra di Luserna» in lastre (poi questo materiale entrerà nel cortile di Palazzo Laderchi, nella pavimentazione delle logge della Piazza e in una serie di altre sistemazioni fino a far parte della tradizione faentina). L’oratorio Bertoni è aperto solo nelle sere di maggio ma già dall’esterno rivela l’estro capriccioso del suo progettista, Raffaele Campidori, qui (1743) alle prese con il canto del cigno di un barocco ancora duro a morire. Dentro c’è una decorazione elegantissima a stucchi. Val la pena fermarsi per ammirare l’infilata del viale al termine del quale sorge la villa, costruita nel 1870 in sostituzione dell’originario Casino Bertoni. Più che la facciata, un po’ lontana, si apprezza l’inquadratura scenografica costituita dagli abeti rossi anche se non tanto floridi (è una specie alpina, qui vigorosa negli esemplari giovani ma con deperimenti precoci per ragioni climatiche) e dalle sottostanti siepi di bosso.
Completamente diversa la successiva Villa Fregua, immersa in un paesaggio agricolo fatto di caki e di una antica siepe, proprio a fianco della ciclabile, ancora secondo l’uso rurale romagnolo con biancospino e acero campestre. La villa è della prima metà dell’Ottocento, di progettista ignoto ma memore dei modelli, anche urbani, di Pistocchi e Tomba (nella scheda F. Bertoni fa notare le somiglianze, pur semplificate, con la Casa Pistocchi in Corso Mazzini).
Voltando per via Castel Raniero la prima villa visibile dalla strada è la Rotonda. La sua importanza è tale da non poter esser riassunta in poche righe. Rimandando alla scheda del volume si può notare qui la parte «a bosco», tutta giocata sui sempreverdi, in particolare lecci. Al termine del viale d’accesso vegetano anche due sequoie: esotiche, ma non rare nelle ville faentine dove facevano da status symbol dei proprietari; nella vicina Villa San Prospero formano addirittura un piccolo bosco circondante un laghetto (con un solo esemplare originario, perché il resto risale a dopo i tagli dell’ultima guerra).
Arriviamo a Villa Orestina, che non è la più bella ma ha il merito di essere spesso aperta, in varie occasioni: l’edificio venne ricostruito negli anni ‘50 dopo le distruzioni del 1944 dal proprietario, l’ingegner Dino Bubani, il quale realizzò anche il giardino a valle, con rose, pini, olivi. Del preesistente parco resta solo una parte a monte, con querce, tassi e un secolare esemplare di fillirea (Phillyrea latifolia) che è l’elemento di maggior pregio. Sul retro della villa sono murati alcuni piatti anni ’20 della gloriosa manifattura di Ugo Bubani, socialista filantropo, padre di Dino. Curiosità, qui Dino Bubani realizzò anche un laghetto alimentato da una semplice derivazione dal fosso della strada: si vedono ancora le guide su cui scorreva una piccola saracinesca che veniva abbassata durante forti piogge. 
Ancora un centinaio di metri e sulla sinistra appare La Mengazza, villa di metà ‘800 che fa da fondale ad un prato orlato da vecchi pini. Sono fra i più belli di tutta questa dorsale che pure ne annovera parecchi, fino all’Olmatello e ad Errano. All’altezza della chiesa di Castel Raniero si può voltare a destra per iniziare la discesa su via Rinaldini. L’ultima sosta è sulla successiva via Rio Biscia (che prendiamo a destra chiudendo l’anello) per godere del mozzafiato viale di tigli, autentico cannocchiale prospettico, che conduce alla monumentale Villa Ragazzina.
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