Simona: "Ho sposato un curdo iracheno ma siamo tornati a Ravenna per la paura"

«Non riesco davvero a seguire quello che sta accadendo, mi fa troppo male. Do un’occhiata all’evoluzione dei fatti sui social ma cerco di starne il più lontana possibile. Il dolore è grande». Simona Migani, ravennate, ha vissuto a Sulaymanuyya, in Iraq, tra il 2010 e il 2014, dove si è trasferita per seguire il marito Shko Ali, curdo iracheno, e aprire insieme a lui una gelateria italiana diventata poi, prima della chiusura, anche ristorante-pizzeria: «Ho conosciuto mio marito quando è arrivato come profugo a Ravenna, dopo un anno e mezzo di viaggio e io, che lavoravo per la Croce Rossa, quel giorno ero incaricata di portare i viveri in questura. Una storia da libro, come mi dicono in tanti e che ci ha portati poi ad avere due figlie. Quando Shko mi ha proposto di trasferirci nella sua terra, mi sono licenziata e siamo partiti. I primi tempi sono stati bellissimi, mi trovavo davvero bene, l’attività funzionava e non ho avuto difficoltà a inserirmi. Tutto è cambiato con l’avvento dell’Isis, quando ho iniziato ad avere davvero paura». Le immagini che Simona vedeva alla tv, infatti, non lasciavano spazio a dubbi: «Teste decapitate, violenze, torture. La situazione era nera. Ho iniziato allora a soffrire di depressione e ansia, problemi che mi porto ancora dietro oggi, anche se sono tornata a casa. A un certo punto non ce l’ho più fatta, mio marito mi ha riportata indietro insieme alle bambine». Skho Ali, invece, ha scelto di continuare a seguire la gelateria per altri due anni, prima di cessare l’attività: «Oggi è rimasto nel settore del commercio ma riesce a lavorare anche andando e venendo. In Iraq c’è ancora mia suocera, che sono andata a trovare l’ultima volta nel 2016 e che è la maggior fonte di preoccupazione di mio marito. Tutto sommato lui è più sereno di me, è cresciuto in mezzo alla paura e mi dice spesso che quando hai visto certe cose, sei abituato e non hai nulla da temere. Io, invece, da certe scene sono rimasta terrorizzata. Ho visto anche i profughi, eccome se li ho visti. Ho visto pure le guerriere curde, sulle quali una delle mie figlie qualche tempo fa ha fatto anche una tesina a scuola. A volte penso che potrebbero essere le mie figlie, che hanno una forza d’animo pazzesca, che rischiano la vita ogni giorno».
E alla voce di Simona si unisce quella del marito: «C’è solo da piangere, non ci lasciano in pace. E tutto questo sta avvendendo nell’indifferenza dell’Europa, che in televisione mostra solo una parte di quello che sta succedendo. Io li vedo, sulla Cnn e su Al Jazeera, quanti bambini stanno morendo ma le persone che non hanno niente, come i curdi che sono in Siria, gente come me, non interessano a nessuno. Io sono arrivato a Ravenna per vivere tranquillo. Poi sono tornato in Iraq quando la situazione sembrava calma. Ora c’è mia madre, là: è sola, sta male. Cercherò di portarla in Italia, almeno per un po’». (s.manz.)