Russi, Eraldo Baldini: «Romagnoli a stelle e strisce, storie incredibili»
Federico Savini
«Quello che vorrei spiegare, con questo libro, è che la cultura americana nella quale siamo cresciuti non è nata dal nulla, ma a fare grandi gli Stati Uniti sono stati i popoli che hanno abitato quelle terre e fatto la loro Storia. E i romagnoli non così secondari in questa vicenda. Il rapporto culturale tra Usa e Romagna è florido e più reciproco di quanto non si pensi. Non siamo solo fruitori passivi». È tangibilmente divertito, oltre che almeno un po’ orgoglioso Eraldo Baldini, mentre dichiara gli obiettivi di uno dei libri più curiosi e interessanti della sua lunga carriera: Transatlantica (Romagna & America) Vicende, personaggi luoghi. I tanti aspetti di una lunga relazione (Il Ponte Vecchio) che lo scrittore e saggista di San Pancrazio ha curato insieme ad Alberto Pagani con contributi di Mauro Antonellini, Andrea Baravelli, Giuseppe Bellosi, Dante Bolognesi, Gian Paolo Borghi, Guido Ceroni, Massimiliano Galanti, Rossano Novelli e Stefano Piastra, e che Baldini e Pagani presenteranno venerdì 13 alle 21 in biblioteca a Russi durante la Fira di Sett Dulur.
«Alberto Pagani pensa, come me, che la relazione tra Romagna e Stati Uniti sia stretta e duratura - spiega Baldini -. Lui è particolarmente esperto di relazioni internazionali e ha rapporti con le ambasciate. Ora che grazie alle crociere abbiamo per la prima volta un flusso importante di turisti americani era il caso di fare una ricerca del genere».
Che avevi sfiorato in passato. Da dove nasce il libro?
«Da una rubrica che qualche anno fa tenevo in rete proprio su questo tema. Feci una carrellata di racconti di città americane che hanno nomi tipicamente romagnoli, ad esempio ci sonno 13 Ravenna, e portai alla luce le storie di personaggi abbastanza straordinari, romagnoli coinvolti a pieno titolo nella storia americana».
Dunque non solo storie di emigrazione da lavoro?
«No, al contrario, quelle sono in minoranza, anche perché il fenomeno toccò poco la Romagna, più che altro a fine ’800 con la chiusura delle cave di zolfo collinari. Metà dei cittadini di Meldola si trasferirono negli Usa e praticamente fondarono una città, Litchfield, dove tra l’altro è ambientata la serie Netflix Orange is the new black, in cui tuttora cognomi come Fabbri e Camporesi sono diffusissimi. Ad ogni modo, l’emigrazione “classica” è un tema importante che sul libro tratta Andrea Baravelli in un saggio».
Le vicende forse più note sono quelle legate al falso mito del Buffalo Bill romagnolo e alla base aerea di Porto Corsini. Quelle che ti hanno sorpreso di più?
«Le storie che dici sono raccontate, nel libro, da Massimiliano Galanti e da Novelli e Antonellini, però sì, in effetti a me interessano soprattutto quei romagnoli che vanno negli Stati Uniti, già nell’800, per motivi “ideali”. Erano emigrazioni d’avventura, più che di lavoro, penso al forlivese Pietro Maroncelli o al conselicese Felice Foresti che di fatto costituirono un’enclave di risorgimentali a New York, condotta proprio da dei romagnoli! Incredibile è poi la risposta all’appello ideale che fece Lincoln, per la libertà e contro la schiavitù, alla vigilia della guerra di Secessione, al quale rispose il ravennate Pietro Gordini, che salpò per l’America e si arruolò con i nordisti. La Garibaldi Guard, in quella guerra, era un battaglione interamente italiano, mentre tra i sudisti combattevano molti prigionieri borbonici, e forse anche lì qualche idealista per quella causa. Una storia pazzesca poi è quella dei missionari romagnoli, con il seminario di Bertinoro che preparava precisamente per le missioni nordamericane e la vicenda di Pasquale Tosi, prete santarcangiolese che parlava otto lingue e guidava una missione in Montana. Soccorse più volte i pellerossa Sioux e si deve a lui il primo dizionario tra la loro lingua e l’inglese. Pietro Bandini, poi, è stato il fondatore della prima comunità interamente italiana in suolo americano, in Arkansas».