Riolo, arriverà a giugno lo studio sul futuro della cava di gesso

Romagna | 09 Aprile 2021 Cronaca
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Riccardo Isola - Prosegue il braccio di ferro tra le istanze di tutela del mondo ambientalista e le esigenze economiche dell’azienda prorpietaria della cava di gesso di Monte Tondo. Per ora siamo in attesa di conoscere gli esiti della trattativa, ferma in attesa dell’arrivo di uno studio particolareggiato sullo stato dell’arte, tra enti locali, Regione e azienda sul possibile adeguamento del piano di estrazione per la cava di Monte Tondo. Si dice che in Regione l’azienda avrebbe già fatto uscire alcune ipotesi delle proprie esigenze estrattive per poter prolungare l’attività per alcuni decenni ancora, sparando numeri anche importanti, ma nessuna conferma arriva ufficialmente. Sembra così che ci voglia ancora qualche tempo perché il quadro si delinei in modo ufficiale e definitivo sul futuro del comparto produttivo legato all’estrazione di gesso nella storica cava di gesso di Monte Tondo. Intanto però il mondo ambientalista e speleologico insorge organizzando anche manifestazioni contro l’ipotesi di allungare i tempi di vita della cava e soprattutto le cubature di materiale estraibile.

ATTIVITA ESTRATTIVA
La cava di Monte Tondo, aperta nel 1958 ad opera di Anic Spa (Azienda Nazionale Idrogenazione Combustibili) e poi passata di mano fino ad arrivare oggi a essere di proprietà della multinazionale Saint Gobain, in tutti questi anni di attività, ben 63, ha portato l’emergenza gessosa essere erosa, in superficie nel sottosuolo in modo palesemente impattante. Dai dati ricavabili dalle fonti esistenti e fruibili dal 1961 al 1993, quindi nei primi 32 anni di attività, il minerale mercantile estratto ha raggiunto le quasi 20 milioni di tonnellate. Di queste 19.166.200 tonnellate 3.520.500 tonnellate provengono dalle coltivazioni in sottosuolo. Come si diceva la coltivazione avveniva sia in superficie che in sotterraneo. Qui ci sono 13-15 km di gallerie impostate su 4 livelli (da una quota di 140 m s.l.m. a una dia 220 m s.l.m.) realizzate a partire dal 1965. Gli anni di maggiore pressione sulla cava sono stati il 1973 e il 1974 con 1.065.000 tonnellate di materiale estratto, l’anno in cui si è invece «scavato» di meno è stato il 1990 con «sole» 231.400 tonnellate. I restanti anni, salvo qualche raro caso, hanno visto l’attività scendere progressivamente anno dopo anno variando dalle 726.000 tonnellate del 1961 alle 282.500 tonnellate del 1993. Negli ultimi anni del XXI secolo si è passati da una media di quasi 400.000 tonnellate all’anno, soprattutto nel 2007 e 2008, alle circa 200.000 tonnellate estratte nel 2012. I dati sugli ultimissimi anni si distanziano, ancora in misura calante, da questi che si registravano a metà della prima decade del 2000 arrivando a circa 40.000 tonnellate di materiale estratto ogni anno.Nel 1989 nasce il Polo unico delle attività estrattive del gesso al fine di tutelare gli altri affioramenti sparsi in Emilia-Romagna e per impedire l’apertura di altre cave, concentrando in un unico punto l’estrazione del gesso, appunto sulla Vena romagnola. Un passaggio successivo è poi quello dell’adozione del Piano delle attività estrattive dell’Unione dei comuni che garantisce un periodo di attività estrattiva fino al 2032 e del Piano infraregionale delle attività estrattive della Provincia di Ravenna che sottolinea come per Monte Tondo «i quantitativi massimi estraibili sono quelli stabiliti dall’Atto di indirizzo per le modalità di coltivazione ottimali del polo estrattivo di Borgo Rivola (aprile 2002) che ammontano a 4.500.000 metri cubi. Per l’arco di validità del piano - si legge - sono resi disponibili 2.500.000 metri cubi, i restanti saranno pianificati sulla base di un accurato monitoraggio delle fasi di escavazione e ripristino nell’ambito delle successive revisioni del presente piano».

LA POSIZIONE DEI COMUNI
«Allo stato attuale stiamo aspettando lo studio che è stato commissionato dalla Regione, e che dovrebbe arrivare a giugno - spiega il sindaco di Riolo Terme, Alfonso Nicolardi - nel quale si capirà come la situazione, dal punto di vista della verifica dei quantitativi estrattivi. Quello che è certo è che l’azienda comunque sia, rimane all’interno della sua proprietà, che di fatto rappresenta l’1% circa dell’intera Vena del Gesso, e non andrà a impattare nella zona tutelata del Parco regionale. Per ora - prosegue - a noi non risulta che l’azienda abbia avanzato proposte se non quelle risalente al 2019 nelle quali si faceva presnete che le quantità autorizzate dagli accordi estrattivi sono state inferiori per tutta una serie di motivi che lo studio dovrà accertare e appurare». Sul piano della riconversione «ambientale del sito di cava» ci tiene a ricordare il primo cittadino di Casola Valsenio Giorgio Sagrini «l’azienda sta già operando con interventi,  in atto proprio in questo periodo, per esempio di messa a dimora di alberi ed essenze vegetative, a cui ne seguiranno altri, come l’accordo stabiliva. Quello che è bene però evidenziare è la cautela con cui certe questioni vanno affrontate. Prendere atto delle ricadute socio-economiche che questa storica attività imprenditoriale ha nel tessuto  non sono secondarie alla necessaria attuazione di politiche di tutela ambientale. L’importante - conclude - è saperle valutare bene».
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