Ravenna, Pier Luigi Pizzi e Ottavio Dantone si addentrano nei «due terzi» della Trilogia d’Autunno
Federico Savini
«La libertà e la verità». Sono questi i cardini ideali attorno ai quali si dipana il dittico di opere che farà da cornice alla Trilogia d’Autunno del Ravenna Festival, in programma al teatro Alighieri da venerdì 15 a martedì 19 novembre, con l’arrivo del chiacchieratissimo controtenore polacco Jakub Józef Orliński domenica 17 (vedi box), e due repliche di altrettanti allestimenti diretti da Pier Luigi Pizzi per l’Accademia Bizantina di Ottavio Dantone ad aprire e chiudere la «coda invernale» del Festival. Che nel corso degli anni ha attraversato la poetica di Verdi, Mozart, Puccini, Leoncavallo, Mascagni, Bellini, Bizet e anche Dante, approdando quest’anno come detto a un dittico dedicato agli «eroi erranti in cerca di pace», composto da Il ritorno di Ulisse in patria di Claudio Monteverdi (15 e 18 novembre, alle 20) e a Didone e Enea nel giorno di Santa Cecilia dedicato a Henry Purcell, (16 e 19 novembre, alle 20). Un viaggio in due diverse stagioni del barocco, affidato a un veterano riconosciuto e inestimabile della regia teatrale come Pizzi (94 anni portati in modo a dir poco invidiabile) e a uno degli ensemble più importanti dell’approccio filologico alla musica barocca come Accademia Bizantina, vanto ravennate che da qualche anno ha trovato sede a Bagnacavallo, guidato da Ottavio Dantone che ne ha appena celebrato i 40 anni.
«A ‘tenere insieme’ le due opere è un dispositivo scenico comune – spiega Pier Luigi Pizzi, che cura anche scene e costumi -, un luogo della memoria, uno spazio culturale dove si svolgono le due azioni che, pur vivendo in una stessa architettura, debbono ognuna respirare secondo le proprie peculiarità. A orientare il pubblico nel Ritorno di Ulisse si vedrà il telaio di Penelope, oggetto che da solo richiama l’antefatto, le pene della lunghissima attesa. Mentre nel Didone il clima emotivo è opposto: siamo in una scuola e al centro ci sarà la vitalità dei giovani studenti, la gioia di fare musica e la spontaneità dell’improvvisazione. Entrambe le opere, poi, affondano le radici nel mito: Ulisse ed Enea, reduci della guerra di Troia, sono costretti a peregrinare a lungo in terre diverse e tra gente straniera».
«La differenza più appariscente tra il teatro italiano e quello inglese – ha commentato Dantone, incontrando Pizzi in pubblico venerdì 8 alla sala Corelli del teatro - è la presenza dell’elemento magico, più tardi estraneo al carattere dell’opera italiana. Ma ciò non impedisce a Dido and Aeneas di possedere, come l’Ulisse di Monteverdi, le stimmate inequivocabili della modernità. Del resto, Purcelli conosceva Monteverdi e parliamo di opere nate a mezzo secolo di distanza: 1640 la prima e 1689 la seconda. Monteverdi è il compositore che ridà centralità alla parola, nel senso che passa dalla polifonia a quella lui chiamava ‘seconda pratica’, poi divenuta per tutti il ‘recitar cantando’. Purcell, pur con uno stile più metafisico e richiami a musiche tradizionali irlandesi, porta avanti questa via dell’aderenza al ritmo della parola, molto difficile da formalizzare ma così ricco musicalmente».
«Benché infatti sia stato raccontato diversamente per secoli – aggiunge Pier Luigi Pizzi -, a mio modo di vedere il barocco è sinonimo di libertà. Parte dal classico per alleggerirne gli accademismi e soprattutto in campo scenico introduce il concetto di “Teatro della Meraviglia”. Il fatto che il recitar cantando monteverdiano ridia peso alla parola è per me di grande stimolo come regista».
«Infatti - commenta Ottavio Dantone - il confine tra attore e cantante è singolarmente sottile in Monteverdi. È la chiave per interpretare al meglio l’opera barocca e più in generale la musica barocca. Che, strano a dirsi dato che è vecchia di secoli, ma è un campo di scoperte continuo. Sono trent’anni che il barocco incrementa il suo successo sia perché stiamo tuttora imparando, e quindi migliorando il nostro approccio a queste partiture, sia perché al di là dei richiami al mito e a certi eccessi scenici, in realtà l’opera barocca è costantemente tesa verso la ricerca della verità. I temi del barocco diventano attuali proprio perché questa musica si incarica di trasformare la parola in arte, il ritmo in narrazione, la riflessione in estasi. E quando affronta temi come quello della pace non può che risuonare attuale».