Ravenna, Matteo Cavezzali racconta il podcast sulla ludopatia realizzato con Gianni Gozzoli per Rai Play
Federico Savini
«Le statistiche ci dicono che praticamente un italiano su 8 ha problemi patologici con il gioco d’azzardo, che coinvolge almeno un milione e mezzo di persone considerate “problematiche”, con un giro d’affari complessivo di 136 miliardi di euro. È il quadruplo della manovra finanziaria, una cifra che supera la spesa sanitaria. E stiamo parlando del gioco monitorabile, poi c’è quello illegale…». Le dimensioni di quel fenomeno sociale che chiamiamo «ludopatia» sono così grandi da essere, di fatto, incalcolabili. E questo non è che il punto di partenza del viaggio nella società e nella malattia che Matteo Cavezzali e Gianni Gozzoli hanno compiuto nelle sei puntate del L’ultimo azzardo, nuovo podcast disponibile su Rai Play Sound. Sei puntate che raccontano quattro storie direttamente dalle parole di giocatori e familiari, con numerosi interventi di medici e psicologi, anche perché il progetto nasce in collaborazione e su stimolo dell’Ausl Romagna. Parliamo di un podcast emotivamente intenso, vivido per le testimonianze raccolte su un problema enorme, ma anche molto garbato e confidenziale, oltre che utile per la quantità di consigli su come comportarsi nel caso si avesse anche solo il sospetto di aver a che fare con un giocatore patologico. «Il gioco d’azzardo non è più considerato un vizio ma una malattia - spiega Matteo Cavezzali -, ci sono stati anche recenti sviluppi legislativi nel merito. Non si tratta di edonismo ma di una patologia riconosciuta e seguita dal Sert e dall’ordine degli psicologi. Il sostegno è gratuito, ci sono tanti modi per farsi aiutare».
Parlare di malattia, anziché di vizio, è qualcosa su cui insistono tutti gli intervistati…
«Dal punto di vista medico abbiamo un neurologo che, nel podcast, illustra il meccanismo di cortocircuito che il gioco innesca nel cervello. Per le persone coinvolte è importante distinguere tra vizio e malattia perché ci sono aspetti di stigma sociale che frenano i ludopatici dal farsi aiutare e poi aiutare gli altri con la propria esperienza».
Capire e affrontare il fenomeno è l’obiettivo del podcast e dell’Ausl Romagna. È nata da loro l’idea?
«Sì, dallo psicoterapeuta Gianluca Farfanetti, che seguiva i podcast miei e di Gianni, così ci ha contattato proprio con l’obiettivo che dici. Non c’è sufficiente consapevolezza di quanto sia grave il problema».
Il podcast aiuta la privacy perché è solo audio ma, oltre a questo, perché si presta bene a raccontare la ludopatia?
«È confidenziale non solo per chi racconta ma anche per chi ascolta. Le voci arrivano dirette negli auricolari e l’idea è che gli ascoltatori prendano confidenza con la possibilità di poter avere anche loro qualcuno da aiutare. Dalla voce dei testimoni diretti ci si sente più confortati, meno soli, oltre che più informati su cosa fare».
Le storie vi sono state indicate dall’Ausl, ma immagino che la dimensione psicologica e privata dei testimoni sia stata complessa da affrontare…
«Le storie che abbiamo raccolto sono in realtà più di quattro, ma poi ci siamo concentrati su quelle che ritenevamo più utili alle finalità del progetto. Sono stati incontri intensi, ci sono giocatori che non hanno rivelato la loro condizione neanche a genitori e colleghi, ma le persone che hanno voglia di parlare del problema lo fanno proprio per aiutare gli altri e vincere lo stigma sociale. Tra l’altro una sorta di “prosecuzione” di questo lavoro è l’audio-documentario Il cavallo vincente, realizzato sempre insieme a Gianni Gozzoli e dedicato al mondo degli ippodromi e al suo legame con la criminalità. Andrà in onda su radio Rai 3 il 23 e 24 novembre».
Gratta e vinci, Bingo, scommesse sportive, slot-machine e siti online. Ci sono differenze sostanziali o prevalgono i tratti comuni?
«Quello che stupisce è che davvero chiunque può ricaderci, dalla pensionata che va al Bingo fino all’adolescente che bypassa ogni controllo perché parte dai videogiochi on-line, e poi l’operario che si gioca lo stipendio, magari perché ha problemi economici, e il calciatore strapagato che riesce comunque a rovinarsi. Dev’essere chiaro che l’azzardo non permette di arricchirsi, anche se le prime vincite sono l’esca più tipica, perché se ci si potesse arricchire il sistema crollerebbe».
Lo status economico dunque non c’entra con la tendenza a giocare d’azzardo. Quello culturale?
«Di base nemmeno quello, però abbiamo notato che in effetti sono più esposte le persone che provengono da territori marginalizzati, piccole frazioni in cui, banalmente, non c’è molto da fare. E allora la macchinetta può innescare la malattia… L’isolamento del Covid e le infinite possibilità di giocare on-line hanno allargato a dismisura l’entità del problema».