Ravenna, Ferdinando Pelliciardi presenta la nuova edizione del «Pvlon matt»

Romagna | 28 Ottobre 2023 Cultura
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Federico Savini
«L’importanza di questo testo era e resta fondamentale per gli aspetti linguistici, perché documenta lo stato del dialetto romagnolo tra il ‘500 e il ‘600. Una lingua già maturata dal volgare e lontana dal latino tanto quanto lo è oggi dagli altri dialetti. Sarebbe curioso capire quanto il dialetto del Pvlon matt sia simile a quello ascoltato da Dante. Stando alle sue testimonianze non molto, Dante parla di una lingua dolce e femminea, non rude e consonantica come quella che ben conosciamo. Quindi o Dante non c’aveva capito nulla o il dialetto è cambiato molto nei secoli dopo di lui!». Domande che capita di porsi a uno come Ferdinando Pelliciardi, «il nostro uomo a Roma», storico capofila de La Famiglia Romagnola, sorta di Pro Loco capitolina della Romagna, che per molti anni ha coltivato la passione per le radici del nostro dialetto a partire dal Pvlon matt, poema epico cesenate scritto a cavallo da XVI e XVII secolo del quale Pelliciardi ha curato una delle tre edizioni esistenti, oggi riveduta e corretta con la curatela di Giuseppe Bellosi, che insieme al «romano» Pelliciardi e al professor Fabio Marri la presenterà sabato 28 alle 17 a Palazzo Rasponi, a Ravenna.
La nuova edizione del Pvlon matt è un imponente tomo di 440 pagine che l’Istituto Schürr ha incluso nella sua collana di Tradizioni popolari e dialetti di Romagna (editore La Mandragora). E che lo Schürr si interessasse al Pvlon matt era invitabile non solo perché parliamo del più antico testo rinvenuto in lingua romagnola, ma anche perché lo stesso linguista Friedrich Schürr venne indirizzato dal suo maestro Wilhelm Meyer-Lübke su questo oscuro poema per la sua tesi di laurea; esperienza dalla quale poi maturò la scelta di documentare scientificamente il dialetto romagnolo. Del Pvlon matt, poema in dodici canti di cui meno di un terzo trascritti nel manoscritto cesenate dal cui ritrovamento tutto è partito, esistono tre edizioni: una di fine ‘800 di Giuseppe Gaspare Bagli, una del 1976 di Douglas B.Gregor e poi quella di Pelliciardi, uscita per l’editore Walberti nel 1997 e oggi rimpolpata e riveduta grazie alla collaborazione con Bellosi. «Il che di per sé garanzia di un lavoro accurato – sottolinea Pelliciardi -, filologicamente ineccepibile».
Cosa cambia dall’edizione precedente?
«Quella conteneva delle semplificazioni del linguaggio originale, mentre la nuova riproduce fedelmente il manoscritto di inizio 1600. La traduzione è stata aggiornata, ho riproposto coi dovuti accorgimento il glossario finale con le parole e ogni nota è stata ampiamente documentata».
Prima dell’edizione ottocentesca di Bagli il poema quale diffusione potrebbe avere avuto?
«Credo molto scarsa. Il manoscritto da cui siamo partiti era di Ettore Bucci, un erudito cesenate del ‘700, quindi non l’autore del poema, tanto che non è completo e non è mai stato ritrovato l’integrale. È inverosimile che fosse un testo conosciuto».
La sua importanza resta prettamente linguistica?
«Sì, il valore artistico è quello che è, una sorta di Orlando furioso ambientato a San Vittore di Cesena, con una storia che comunque si direbbe anche ben architettata. L’importanza linguistica invece è eccezionale e in quel periodo probabilmente il dialetto romagnolo usciva da una decantazione di qualche secolo che l’ha reso molto peculiare come lingua».
Sono molte le parole rimaste «intonse» dal ‘600 ad oggi?
«Direi di sì, ma anche la struttura sintattica si è conservata simile a quella del Pvlon matt. Sui termini la questione è più delicata perché già l’autore era poco rigoroso sulla lingua che maneggiava, estrometteva fin troppo spesso le vocali e cose del genere. Quello che la mia edizione può vantare rispetto ai lavori di Gregor e Bagli, dal quale anche Schürr trasse delle imprecisioni, è l’attenzione abbastanza maniacale ad ogni singola parola: io ho cercato di tradurle tutte, in un’operazione di ricostruzione dello stesso manoscritto».
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