MotoGp, il faentino Massimo Rivola si racconta: «All’asilo disegnavo macchine, poi ho scoperto le moto: la mia vita tra Minardi, Ferrari ed Aprilia»
Tomaso Palli
Poco più di 200 chilometri separano Faenza da Noale. La prima, dove è nato e cresciuto Massimo Rivola, la seconda, invece, identifica il quartier generale di Aprilia Racing, lì dove oggi il 52enne faentino è l’amministratore delegato. Ma a Faenza Rivola ha anche iniziato la sua avventura professionale: lo ha fatto in Minardi, fino a diventarne direttore sportivo, e con medesima carica in Toro Rosso e Ferrari fino al ruolo di responsabile della Ferrari Driver Academy. «A Faenza cerco di tornare quando posso - racconta Rivola - soprattutto per andare a trovare mia mamma che quest’anno è rimasta sola dopo che è venuto a mancare mio padre. Lì ho passato trent’anni della mia vita, è inevitabile che sia molto legato avendo gli amici che ti fai da ragazzino, quelli che rimangono per sempre. È bellissimo restare in contatto in qualche modo, anche solo tramite messaggi e foto».
Rivola, come è nata la passione per i motori?
«Fin da bambino. All’asilo, le maestre dicevano a mia madre che disegnavo tutto il giorno macchinine. Perché sì, la mia prima passione è stata per le auto, ma per la bellezza dell’automobile sportiva e non per quelle da F1. Poi a 14 anni ho scoperto la moto e la passione è esplosa guidando. Solamente più avanti ho iniziato ad andare in pista e lì mi sono reso conto di quanto fosse pericoloso fare l’imbecille in strada e di quanto fosse bello andare forte in pista».
Ha sognato di fare il pilota?
«Un sogno che ho subito messo via perché il cronometro era impietoso. E inoltre avevo già iniziato a lavorare. Ma la passione è sempre stata tanta, alimentata anche dall’essere romagnolo e da una città come Faenza che ha sempre avuto squadre di Formula Uno. E ricordo molto bene quando Fausto (Gresini, ndr) creò il team, l’ho seguito con molto interesse».
Si immaginava una carriera così?
«In realtà, ho sempre pensato che, qualora avessi fatto qualcosa di legato alla mia passione, avrei avuto possibilità di fare strada. Perché la passione era tanta ed era probabile fossi bravo. È ciò che cerco di trasmettere ai miei figli: fare qualcosa che piaccia e, se hai un obiettivo in testa, perseguirlo».
Il suo sogno?
«Iniziando nelle quattro ruote, diventare direttore sportivo. Mi è andata bene avendolo fatto in Minardi, in Toro Rosso e poi in Ferrari. La chiamata di Domenicali è stata il massimo della vita e gli ultimi tre anni, quando mi sono spostato nella Ferrari Driver Academy, ho imparato tantissime cose nuove nei campionati minori dove tutto parte e i sogni vengono alimentati. Devi essere abbastanza matto per lasciare la Ferrari (sorride, ndr)».
E come ha vissuto il cambio?
«Durante i miei anni in F1 sono andato spesso a vedere gare di MotoGp: conoscevo molte persone nel paddock e mi infilavo sempre in qualche team. Entrare nel mondo delle due ruote è stata perciò una novità solo per il fatto che fosse diventato il mio mestiere. E poi ho sempre detto che, prima o poi, quello sarebbe stato il mio lavoro perché vedevo un clima che rispettava di più il mio modo di vedere le corse».
Il sogno nel cassetto?
«Vincere il Mondiale!».
Veniamo al presente. Da Misano a Misano: è una gara «diversa» anche per un amministratore delegato?
«È terribile (ride, ndr). Si è pieni di ospiti ed è presente anche la proprietà: bellissimo averla, ma ti mette sempre una sana tensione perché vuoi essere al meglio. È molto difficile da gestire il weekend ma bello ed emozionalmente è tutto più accentuato. Inoltre, non pensavo che dopo Misano 1 ci fosse così tanto interesse anche per Misano 2. E questo è un ottimo segnale perché significa che la gente si sta appassionando alla MotoGp, all’Aprilia e alle nostre gare. Nel bene e nel male, visto che nelle ultime non siamo stati all’altezza».
Cosa serve in questi momenti?
«La bacchetta magica non esiste, ma si deve remare tutti nella stessa direzione. Il messaggio più importante è che questo è uno sport di squadra, nonostante il terminale, quello che rischia tanto, sia il pilota che però, senza il lavoro di tutti, non vince. Poi è ovvio che non bisogna andare nel panico quando le cose vanno male ed io, nel mio ruolo, sto cercando di diventare zen, di respirare e contare fino a dieci».
Nel 2025 cambierete entrambi i piloti. Con l’arrivo di Bezzecchi e di Martin cosa avete cercato di diverso?
«Siamo arrivati ad un punto in cui dovevamo intervenire con qualcosa di nuovo dopo il ritiro di Aleix Espargaró, che ci ha portato dove siamo oggi, e l’addio di Maverick Vinales, che ha dato un contributo enorme. Avremo due piloti di 25 anni che l’anno scorso si sono piazzati secondo e terzo, uno si sta giocando anche questo Mondiale e potrebbe portarci il numero uno sulla carena. Sono cose che danno stimolo ma anche pericolose perché non abbiamo più scuse. Sento spesso, oggi, dire che Aprilia ha una gran moto ma non i piloti. Credo che la verità sia sempre nel mezzo, ma se Martin oggi si gioca il Mondiale, dovrà certamente adattarsi alle caratteristiche della moto e noi alle sue, ma dopo questo periodo ci aspettiamo sia al top. La mossa è azzardata e importante ma necessaria, secondo me».