Il ravennate Yuri Ancarani a Venezia con il lungometraggio «Atlantide», potente, poetico e disturbante

Romagna | 10 Settembre 2021 Cultura
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Federico Savini
«Atlantide parla dei giovani inascoltati, quelli che tutti fingono di non vedere. Certo, lo fa da una prospettiva assolutamente ‘veneziana’, ma le questioni che affronta valgono per i giovani di tutto il mondo». Yuri Ancarani è appena tornato da Venezia, dove il suo Atlantide è in concorso nella prestigiosa sezione «Orizzonti» del Festival del Cinema. Visivamente straordinario, il nuovo lungometraggio del regista ravennate racconta della vita quotidiana di un gruppo di ragazzi che abitano la laguna veneziana e passano le giornate (e le notti) a bordo di «barchini» truccati, che ne monopolizzano la volontà e l’immaginario. Una «sinfonia d’immagini» con una colonna sonora potentissima, fra l’elettronica techno-ambient di Lorenzo Senni (già al lavoro con Ancarani nel bellissimo The Challenge, dedicato a un’altra insolita «tribù», quella dei ricchi e sfaccendati falconieri dell’Oman) e musica trap a rotta di collo, che fa piazza pulita di ogni cartolinismo veneziano. Questa salmastra odissea del vuoto esistenziale – che presto approderà anche in sala - ha un esile filo narrativo che va in gloria in un finale onirico, psichedelico e potentissimo, frutto di una maestri registica ormai indiscutibile. «E’ un incitamento - dice Ancarani -, è un tonante “fatti un viaggio”! Questo mondo non merita altre risposte. Penso che il film nasca proprio per dare l’opportunità allo spettatore di prepararsi al finale».
A proposito di finale, per Yuri Ancarani questo film rappresenta una tappa significativa?
«Lo vedo come la chiusura di un capitolo, aperto 11 anni fa con Il Capo, che era un corto ma sempre in gara nella sezione “Orizzonti”. Oggi i miei film andrebbero visti in senso inverso, partendo quindi da Atlantide».
Ti ritrovi nell’idea - a quanto pare piuttosto condivisa - che sia il tuo film più «narrativo»?
«Sviluppo da anni un mio particolare metodo di lavoro. La cosa mi viene riconosciuta ma molti mi dicono che, secondo loro, posso fare solo un certo tipo di film. Io invece penso che il mio metodo mi permette di fare qualsiasi cosa. E di parlare di qualsiasi cosa».
Atlantide non parla solo di questi giovani lagunari, insomma.
«Li ho frequentati per tre anni, in estate e in inverno, quando dormono nei barchini con il Moncler. Mi sono avvicinato a questi ragazzi in parte anche attraverso i social e oggi bisogna dire che già le pagine Instragram sono un bello strumento di casting. Lo capisci da lì se una persone ha l’energia giusta per un film. Il film racconta i ‘veri’ veneziani, quelli che ascoltano la trap in mezzo ai palazzi storici. Nessuno se ne va in giro per Venezia ad ascoltare Vivaldi. Questa città viene sempre raccontata in modo falso e anacronistico. L’immagine che abbiamo delle città non fa mai i conti con i giovani».
In generale sì, ma tipo Berlino è spesso raccontata per la dimensione giovanile…
«È un’immagine falsata, non c’è futuro a Berlino. È una città che vive con un grande senso di colpa. Tornando a Venezia, è piena di giovani, anche se poco popolata in assoluto. Sono anni che i veneziani diventano adulti dentro i barchini. In realtà non c’è nulla di straordinario in Atlantide, è la realtà, che di solito ci viene edulcorata. Il film racconta questo ma vale per tutto l’universo giovanile».
Il tuo sguardo infatti è molto neutrale, quasi antropologico. Nei ragazzi ci sono sia energia che smarrimento. Vale ovunque?
«Sì, il film mi permette di parlare i problemi dell’adolescenza di oggi. Se per diventare adulto devi praticare rituali violenti, in un mondo in cui conta solo vincere, allora capisci quale realtà vivano questi ragazzi. Non si partecipa, non si condivide, ma non tutti possono vincere. Daniele, il protagonista del film, è praticamente uguale a Elon Musk. Hanno gli stessi problemi, lo stesso desiderio di potenza. Hai fatto caso che il barchino sembra un missile? Musk ha dedicato la vita a lavoro e soldi, e adesso vuole andare su Marte, e pure Bezos si è messo in quella corsa…».
Le prime reazioni?
«In fase di montaggio qualcuno mi avvertiva che non mi sarei dovuto far vedere in laguna, dopo un film così. Invece molti veneziani mi hanno ringraziato per aver mostrato la realtà. Sono stanchi di vedersi rappresentare da un “brand”. A tutti piace la Venezia di Woody Allen, ma non è per niente quella reale.  Non le somiglia nemmeno».
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