IL CASTORO | Carlo Calenda a Faenza ha parlato del futuro dell’Unione

Romagna | 31 Maggio 2019 Blog Settesere
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Martina Chiarini

«Siamo europei. Il destino dell’Europa è il destino dell’Italia. Il nostro è un grande paese fondatore dell’Unione europea, protagonista dell’evoluzione di questo progetto nell’arco di più di 60 anni. E protagonisti dobbiamo rimanere fino al conseguimento degli Stati Uniti d’Europa, per quanto distante questo traguardo possa oggi apparire. Il nostro ruolo nel mondo, la nostra sicurezza - economica e politica - dipendono dall’esito di questo processo».

Così esordisce il manifesto «Siamo Europei» lanciato dall’ex ministro Carlo Calenda a metà gennaio e che annovera fra i suoi primi firmatari Giuseppe Sala, sindaco di Milano, Dario Nardelli, sindaco di Firenze e numerosi docenti universitari e studiosi di fama.

Calenda è stato recentemente invitato a Faenza insieme a Elisabetta Gualmini, vicepresidente e assessore alle politiche di welfare e abitative per  la regione Emilia-Romagna. La sezione faentina del Partito democratico ha organizzato l’incontro con la cittadinanza. Abbiamo avuto modo di rivolgergli qualche domanda per Il Castoro, come giovani ragazzi che per la prima volta hanno affrontato il voto in occasione delle elezioni europee del 26 maggio.

L’Unione Europea così come è adesso presenta diverse criticità, riconosciute sia da destra sia da sinistra. Nella sua opinione cosa è solamente migliorabile? Cosa è invece da riformare radicalmente?

«Andrebbe riformata radicalmente l’Europa, ma non nel senso che intende Salvini, cioè rafforzando i nazionalismi. Gli Stati hanno moltissimi poteri, invece istituzioni come la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europei ne hanno pochissimi, per cui ogni decisione viene bloccata e non si riesce a decidere nulla. Il secondo problema è che l’Europa è spaccata ormai in più gruppi di Stati: il gruppo di Visegrád, quelli centrali, quelli anseatici. Questi ultimi traggono molti benefici da una tassazione che è degna di un paradiso fiscale. Quindi c’è un problema di fragilità istituzionale e una divisione fra Stati con interessi diversi».

Perché un mio coetaneo, uno studente faentino neomaggiorenne dovrebbe sentirsi europeo?

«La domanda è come fa uno studente a non riconoscersi europeo nel momento in cui può prendere un aereo, andare dove vuole, lavorare dove gli pare e sposarsi con chi vuole senza dover cambiare nazionalità? Lo studente è già europeo e l'unico modo in cui potrebbe accorgersi del valore di essere europeo è se un giorno non lo fosse più. L'Europa è come la libertà, finché non viene sottratta non si sa quanto valga».

Perché un giovane dovrebbe riconoscersi nel suo schieramento politico più che in altri?

«È irrilevante: liberali, socialdemocratici e una parte dei popolari dovranno lavorare insieme per riformare l'Europa e difenderla da chi vuole distruggerla, cioè i sovranisti. Non mi sono iscritto ai liberali per due ragioni: i liberali dell'Alde sono controllati dai liberali tedeschi e olandesi che sono molto di destra, iperliberisti ideologici. Si è saputo che hanno preso contributi da multinazionali e questo non è grave, ma alcune transazioni sono indagate dall’Antitrust».

Lei si sente più italiano o più europeo?

«Io non posso pensare di essere l'uno senza l'altro. Dire siamo europei o dire siamo italiani è la stessa cosa. Non puoi immaginarti fuori da ciò. A fare distinzione sono i nazionalisti come Salvini».

Secondo alcuni dati il sentimento europeo è presente soprattutto nei giovani benestanti. Come si spiega questo fenomeno? Non sono stati i nostri genitori a beneficiare maggiormente dei vantaggi dell’Unione Europea?

«Noi abbiamo avuto una grande delusione che voi non avete avuto, cioè noi siamo figli della delusione di un’idea di Europa che ci avrebbe protetto dalle guerre e da qualunque crisi economica. Un'aspettativa tradita. La vostra invece è un'aspettativa crescente».

In quale modo si potrebbe far crescere un sentimento europeo fra la popolazione? C’è il bisogno di europeizzare l’educazione e l’informazione mediatica?

«Totalmente. È il futuro. Bisogna prima ripristinare l'educazione, perché oggi il livello culturale non è compatibile con una democrazia liberale. La libertà senza cultura è una condizione spaventosa, perché procura grande ansia, se non si hanno radici culturali. Io renderei l'Erasmus obbligatorio e inserirei programmi di storia europea all'interno di tutte le facoltà».

Vede effetti positivi nella Brexit?

«Sì, finalmente faremo l'Europa politica, senza la Gran Bretagna. Dico sul serio, sono un fautore della Brexit».

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