I «segreti» psichedelici di Nick Mason al Pala De Andrè

Federico Savini
Il solo componente sempre presente ad ogni prova, ogni concerto e ogni seduta d’incisione dei Pink Floyd, è probabilmente l’unico a potersi permettere di riportare in scena il «suono delle origini» della band che ha introdotto la luce della psichedelia nel lessico, nell’immaginario e nel mito della musica giovanile. Eppure non ci sarà nostalgia alcuna nel concerto che, domenica 14 alle 21, i Saucerful Of Secrets di Nick Mason terranno al Pala De Andrè, ultimo grande appuntamento musicale della fase estiva del Ravenna Festival 2019.
Un appuntamento con la storia in ogni senso, visto che ascoltare dal vivo il batterista dei Pink Floyd è di per sé un privilegio, ma c’è di più, visto che Mason ha formato una nuova band (con Gary Kemp degli Spandau Ballet, Guy Pratt, Lee Harris e Dom Beken) per rimettere mano al repertorio primigenio dei Pink Floyd, quello attribuibile al genio di Syd Barrett e che il gruppo ha sempre suonato raramente, sia perché il leader «si perse» anzitempo in reami psichici che non gli permettevano di avere un’attività live regolare, sia perché la band poco alla volta mutò pelle, ripulendo un sound destinato a diventare tra i più influenti e ammirati di sempre, ma che all’origine era bruciante, imprevedibile, esplosivo e addirittura in qualche modo primitivo.
Nick Mason, batterista della band dal primo giorno e solo membro del sodalizio a non perdere mai la bussola nel corso dei decenni, a non farsi tentare dal narcisismo e dal titanismo, è il più titolato a immergersi nelle radici psichedeliche dei Pink Floyd, cercando di riportare in scena le visioni di Barrett. Un’operazione spericolata, il tentativo di immortalare una scintilla, di ricreare l’ineffabile.
Con la sua nuova accolita di psichedelici fiancheggiatori, Mason ha oggi l’ardire di suonare brani come Astronomy Domine, Green is the Colour, A Saucerful of Secrets, che solo i fan più longevi avevano ascoltato dal vivo, e anche canzoni mai eseguite sul palco, come le leggendarie Lucifer Sam, Arnold Layne e Bike. In quei Pink Floyd, che traevano forza creativa dalla precarietà in cui navigavano a vista, era salda la consapevolezza di «doversi» spingere sempre più avanti, vedi proprio «A Saucerful Of Secrets» (1968), un disco che ancora oggi sembra una jam session aliena. Bandìta ogni residuale remora per la forma canzone, i Pink Floyd prendono il largo e sfidano l’ignoto. Addentrandosi nei viluppi elettrici e nelle derive cosmiche che Barrett aveva spalancato, liberarono la musica giovanile dalle costrizioni ritmiche e armoniche, lasciando che una pulsione ultraterrena facesse breccia nell’onirico sound di un gruppo definitivamente unico.