Faenza, Marco Albonetti presenta dal vivo il suo nuovo progetto discografico
Federico Savini
«Da un anno e mezzo il respiro è diventato il nostro “nemico”, da lì passa il virus che ha cambiato le nostre vite. E per chi suona il sassofono è un bel paradosso. Mi considero però fortunato ad aver continuato a insegnare dal vivo. La dad l’ho sperimentata, ma per uno strumento a fiato è troppo limitante. Così, con un singolo allievo e i pannelli divisori sono riuscito ad insegnare. E anche l’estate concertistica devo dire che è stata molto intensa, credo abbia pagato la solidità dei miei progetti». Marco Albonetti, sassofonista faentino di fama internazionale nonché ideatore del SaxArts Festival, è appena rientrato dallo Stresa Festival, dove ha suonato con l’orchestra SenzaSpine una prima mondiale di Pablo Ziegler, su chiamata niente meno che di Mario Brunello. Albonetti insegna sassofono al Conservatorio di Trento e musica da camera all’Accademia di Imola e torna a Faenza per chiudere l’edizione 2021 del SaxArts, venerdì 10 alle 21.15 in piazza Nenni a Faenza con «Amarcord d’un Tango», insieme a Daniele di Bonaventura e l’Orchestra Filarmonica Italiana. «Sarà un concerto di anteprima del mio secondo disco con la Chandos Records - spiega Albonetti -. Il disco lo registriamo a teatro in questi giorni. E’ imperniato sull’incontro tra sax e bandoneon, con un approccio molto vicino a quello della classica».
Il progetto nasce al confine tra classica, musiche popolari e jazz…
«Sì, mi muovo tra questi ambiti da tempo. L’attenzione specifica per il bandoneon viene proprio dalla sua storia. Nacque in Germania per la musica sacra, come sorta di organo decisamente più agile. Arrivò a Buenos Aires con gli immigrati, dove divenne lo strumento principe del tango, una musica che nasce da suggestioni ritmiche africane ed è legata in modo indissolubile alla danza. Insomma, dalle chiese alle stive fino ai bordelli… Il sax soprano interpreta le melodie suadenti che si insinuano nelle partiture del tango, con arrangiamenti insoliti».
Il repertorio?
«E’ vario. Oltre a raccontare la storia del bandoneon, il nuovo disco è anche un po’ un viaggio. Daniele di Bonaventura ha composto musiche vicine alla sacra e poi racconteremo anche la storia del tango, con brani primo-novecenteschi che non sono in quattro quarti ma in un ritmo ternario più dolce, da danza, passando per arcinoti capolavori di Carlos Gardel e per un Piazzolla insolito, giovanile e ruspante. Ho arrangiato buona parte di questi pezzi e la modernità si insinuerà anche con un arrangiamento che Richard Galliano mi ha inviato, da un suo pezzo, e ci sarà pure la composizione nuovissima di Jorge Bosso. Spero di comunicare la curiosità e il senso di avventura. A volte questi progetti possono sorprenderti; accadde già con “Romance del Diablo”».
Il disco precedente…
«Sì, ha avuto un successo al di là delle attese. E’ stato recensito dalle maggiori riviste internazionali, segnalato da diverse radio europee ed è finito anche in chart di settore. Un grosso spazio l’ha avuto anche sul Wall Street Journal e, incredibilmente, in Canada ha fatto capolino nella classifica della musica pop, a due passi dal reggaeton!».
Tornando a sax e bandoneon, il fatto che vengano considerati nell’immaginario collettivo come simboli del jazz e del tango è più una fortuna o un limite?
«Nel complesso è più una fortuna, li ha resi riconoscibili. In quanto ai luoghi comuni e al possibile limite espressivo, beh, si difendono con la loro versatilità. Il sax soprano, che suono io, in particolare spazia agevolmente dalla barocca alla musica contemporanea (è nato per la classica, nda) e si presta anche in certe forme di folk. Quanto al bandoneon, basta seguire Daniele di Bonaventura: lui l’ha usato dalla sacra alla contemporanea, oltre che in chiave jazz con Paolo Fresu. La combinazione dei due strumenti ha una gran forza e ci ha permesso di riarrangiare in chiave classica tante canzoni prese da una lunga storia di suoni, viaggi e contaminazioni».